La fantascienza maschile aka universale ha prodotto il cosmo della distopia, in cui esprimere la frustrazione del non avere autonoma capacità riproduttiva, la smania di controllo su robot pensati per essere schiavi e dunque potenzialmente ribelli, il sogno di colonizzare mondi lontani. Ma c’è un’altra fanstascienza transfemministaqueer, che qui chiamo la sci-fi tfq, scritta da donne e frocie, spesso nere, che hanno popolato mondi di soggetti per i quali la vera abiezione è non cambiare sesso per una vita intera – penso ad esempio a La mano sinistra delle tenebre di Ursula K. Le Guin (1969) – navicelle come uteri in cui prodursi, tentacoli con cui comunicare e ri-prodursi – penso ora alla trilogia della stirpe di Lilith, nella saga della Xenogenesi di Octavia Butler (1987, 1988, 1989). Molti di questi romanzi sono stati immaginati e scritti mentre le Altre irrompevano nelle stanze dove la politica e l’accademia plasmavano il soggetto universale, mettendolo in crisi a partire da nuove identità. Queste scrittrici però hanno sin da subito iniziato a creare visioni di mondi e soggetti già post-identitari, non per questo senza Storia, non per questo senza resistenza.