Baylee started reading Le tre porte by Han Han
Le tre porte by Han Han
Non è facile diventare grandi nella nuova Cina a metà strada tra capitalismo e comunismo: questo sembra dirci il giovane …
Femminista in fieri, aroace, atea agnostica, lettrice curiosa, book blogger, amante dell'inverno e del tè caldo.
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Non è facile diventare grandi nella nuova Cina a metà strada tra capitalismo e comunismo: questo sembra dirci il giovane …
Questa è la prima antologia di scrittori tibetani mai pubblicata in Italia. Il volume raccoglie 15 racconti dei più importanti …
Lettere a me stessa raccoglie i due volumi nei quali Kabi Nagata, ispirandosi a un diario condiviso che teneva alle medie ma dove scriveva da sola, ha scritto una serie di lettere indirizzate a se stessa. Il racconto riprende le tematiche già viste in La mia prima volta e vede Nagata alle prese con vari tentativi per mantenere la sua vita entro l’area della salute e del benessere, con risultati altalenanti.
Nagata continua a essere franca e sincera nel mostrarci il percorso accidentato della sua vita e questo anche in barba alle regole della narrativa che richiederebbero uno sviluppo ben preciso. Peccato che il percorso di Nagata sia un normale e caotico andare avanti e indietro, sia pieno di contraddizioni, passi falsi e ritorni al punto di partenza; a volte si ha proprio la sensazione che, nonostante tutto, l’autrice non stia andando da nessuna parte.
Un po’ come le vite …
Lettere a me stessa raccoglie i due volumi nei quali Kabi Nagata, ispirandosi a un diario condiviso che teneva alle medie ma dove scriveva da sola, ha scritto una serie di lettere indirizzate a se stessa. Il racconto riprende le tematiche già viste in La mia prima volta e vede Nagata alle prese con vari tentativi per mantenere la sua vita entro l’area della salute e del benessere, con risultati altalenanti.
Nagata continua a essere franca e sincera nel mostrarci il percorso accidentato della sua vita e questo anche in barba alle regole della narrativa che richiederebbero uno sviluppo ben preciso. Peccato che il percorso di Nagata sia un normale e caotico andare avanti e indietro, sia pieno di contraddizioni, passi falsi e ritorni al punto di partenza; a volte si ha proprio la sensazione che, nonostante tutto, l’autrice non stia andando da nessuna parte.
Un po’ come le vite di ognunə di noi, probabilmente, se le mettiamo nero su bianco: l’ho trovato un aspetto che valorizza il lavoro di Nagata, ma mi rendo conto che che per chi è più affezionatə a un racconto con un inizio, uno sviluppo e una fine chiara e lineare potrebbe non apprezzare granché Lettere a me stessa.
Personalmente, rispetto a La mia prima volta, ho trovato più difficile leggere Lettere a me stessa a livello emotivo perché qui si aggiunge anche la prova visiva del deteriorarsi del suo stato di salute psicofisico. A un certo punto, infatti, i suoi disegni vacillano, così tanto che in alcuni momenti saranno sostituiti dal solo testo; la conclusione stessa di ogni lettera si fa sempre più disperata e ti senti maledettamente impotente nello star lì a leggere senza poter fare niente. Vorresti abbracciarla. Vorresti dirle che il futuro non è buio e senza speranza come lo sta vedendo in quel momento. Vorresti dirle che scriverà ancora.
Per fortuna il volume si conclude positivamente: Nagata ritrova l’entusiasmo per la vita e scopre anche di essere circondata da tanto amore, sia da parte della sua famiglia, sia da parte deə suoə amicə. Adesso che ha capito di non essere sola chissà che non arrivi anche la relazione che desidera tanto. Coraggio, Nagata! Metticela tutta!
@Scartafaccio ottima scelta!💜
Finalmente mi sono decisa a leggere la mia prima light novel: visto che mi avevano convinta a vedere il dònghuà tratto da questa serie di Mo Xiang Tong Xiu e complice la necessità di smaltire qualche credito residuo sul morente MLOL Plus, mi sono buttata in questa nuova esplorazione.
Per chi non lo sapesse, le light novel (costruzione wasei-eigo, quindi un’espressione giapponese fatta con termini inglesi e la cui abbreviazione è ranobe) è una forma di romanzo illustrato nata in Giappone negli anni Settanta e diventata molto popolare a partire dai tardi anni 2000. In Italia ne sono arrivate pochine, ma è molto probabile che il loro numero aumenti vista l’attenzione che stanno ricevendo grazie a molti adattamenti animati molto popolari. Le principali caratteristiche delle light novel sono la loro facilità di lettura, una certa parentela con i topoi del manga, un linguaggio semplice e colloquiale e immagini che …
Finalmente mi sono decisa a leggere la mia prima light novel: visto che mi avevano convinta a vedere il dònghuà tratto da questa serie di Mo Xiang Tong Xiu e complice la necessità di smaltire qualche credito residuo sul morente MLOL Plus, mi sono buttata in questa nuova esplorazione.
Per chi non lo sapesse, le light novel (costruzione wasei-eigo, quindi un’espressione giapponese fatta con termini inglesi e la cui abbreviazione è ranobe) è una forma di romanzo illustrato nata in Giappone negli anni Settanta e diventata molto popolare a partire dai tardi anni 2000. In Italia ne sono arrivate pochine, ma è molto probabile che il loro numero aumenti vista l’attenzione che stanno ricevendo grazie a molti adattamenti animati molto popolari. Le principali caratteristiche delle light novel sono la loro facilità di lettura, una certa parentela con i topoi del manga, un linguaggio semplice e colloquiale e immagini che solitamente raffigurano personaggi importanti o momenti salienti.
La terza ascesa è una light novel cinese ed è il primo volume della serie della Benedizione dell’ufficiale divino (otto in tutto). A onor del vero, è anche il primo xiānxiá (tipo di fantasy cinese) e il primo dānměi (i boy’s love, BL, cinesi) che leggo: ho collezionato molte prime volte con un libro solo!
La mia impressione generale è positiva: mi sono divertita nel leggerlo e mi ha fatto molto piacere avere qualcosa di leggero per le mani nei frenetici ultimi giorni prima delle feste invernali. Gli unici elementi che hanno acceso la mia irritazione sono stati un uso spregiudicato dei punti esclamativi e occasionali passaggi a un altro punto di vista nel giro di poche righe.
Il primo ha a che fare con la mia scarsa simpatia per i punti esclamativi, cosa che mi è stata inculcata negli anni del liceo e che mi fa percepire come superflua la gran parte di loro al di fuori dei dialoghi diretti. Il passaggio momentaneo a un altro punto di vista, invece, mi è sembrato una pigrizia intellettuale dell’autrice, un barbatrucco per non trovare un escamotage narrativo più raffinato per darci l’opinione di un altro personaggio. Meno male che non succede spesso.
Un altro aspetto che ho notato e che, sebbene a me abbia fatto simpatia, potrebbe urtare i nervi a qualcunə, è stata una certa scrupolosità nell’assicurarsi che lə lettorə capisca e presti attenzione a certi snodi narrativi. Capisco la premura perché si tratta di letteratura estremamente popolare, ma magari qualche lettorə scafatə potrebbe storcere il naso.
Infine, mi sembra il caso di dire due parole sul lato dānměi della storia. Sebbene l’omosessualità in Cina sia stata depenalizzata nel 1997, a partire dai primi anni Duemila la censura si è fatta progressivamente più stringente nei confronti dell’oscenità e dei comportamenti sessuali anormali, due concetti abbastanza fumosi da permettere alle autorità di intervenire pesantemente nelle opere queer. Quindi a seconda dell’anno di nascita di un’opera queer potrete avere vari livelli di (auto)censura: diciamo che, se in un’opera cinese recente annusate un sottotesto queer, c’è un’ottima probabilità che abbiate ragione. Per cui, non aspettatevi le storie esplicite alle quale potreste essere abituatə e siate prontə a imbattervi in una strana dissonanza che fa dichiarare a molti personaggi il loro disgusto nei confronti dei comportamenti omosessuali nel contesto di una storia gay totalmente positiva.
"[...] Vedremo mai tornare i giorni di Efeso e di Cirene? Ahimè! Il mondo moderno soccombe sotto un’invasione di bruttezza. …
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Tutto inizia con Tony DeMarco, un investigatore privato, che per seguire un’indagine sull’omicidio di una giovane donna finge di essere …
Gli Etruschi accolsero passivamente il mito greco o ebbero una loro mitologia? Ad uno sguardo superficiale sembra che l’immaginario mitologico …
È notizia di inizio mese che il Ministero della Salute ha pubblicato finalmente la sua relazione sull’attuazione della legge 194/78 relativa ai dati del 2022. Se pensate che lo scandalo dei dati relativi all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) sia tutto qui, leggetevi pure Mai dati, indagine di Chiara Lalli e Sonia Montegiove su come vengono raccolti questi dati e sulle difficoltà di avere dei chiarimenti.
Già, perché la storia dei dati relativi all’IVG è fatta di contraddizioni, buchi e formati chiusi che li rendono difficilmente utilizzabili, sia da parte di chi vuole farsi un’idea dello stato della procedura medica, sia per chi deve abortire e ha bisogno di cercare una struttura e unə medicə non obiettorə. Anzi, unə medicə non obiettorə che effettivamente esegua le IVG perché, sebbene il dato non compaia nelle relazioni ufficiali, nei fatti si registra una differenza tra medicə non obiettorə “praticanti IVG” e “non …
È notizia di inizio mese che il Ministero della Salute ha pubblicato finalmente la sua relazione sull’attuazione della legge 194/78 relativa ai dati del 2022. Se pensate che lo scandalo dei dati relativi all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) sia tutto qui, leggetevi pure Mai dati, indagine di Chiara Lalli e Sonia Montegiove su come vengono raccolti questi dati e sulle difficoltà di avere dei chiarimenti.
Già, perché la storia dei dati relativi all’IVG è fatta di contraddizioni, buchi e formati chiusi che li rendono difficilmente utilizzabili, sia da parte di chi vuole farsi un’idea dello stato della procedura medica, sia per chi deve abortire e ha bisogno di cercare una struttura e unə medicə non obiettorə. Anzi, unə medicə non obiettorə che effettivamente esegua le IVG perché, sebbene il dato non compaia nelle relazioni ufficiali, nei fatti si registra una differenza tra medicə non obiettorə “praticanti IVG” e “non praticanti IVG”. Quindi nei dati ufficiali potrebbero comparire quattro medicə non obiettorə, ma solo unə di loro potrebbe essere “praticante IVG”. Bello, vero?
Non è nemmeno l’unica assurdità di questi dati, che non vengono raccolti in una comoda modalità standard (in modo che siano facilmente lavorabili), ma in molti modi diversi, spesso usando carta e penna, senza che sia evidente a quale struttura rivolgersi per avere un’IVG e creando mille ostacoli perché sia mai che queste donne siano lasciate libere di gestire il loro corpo in autonomia, chissà dove andremo a finire altrimenti, signora mia!
Mai dati non è un libro sull’aborto e si concentra unicamente sulla raccolta dei dati, che dovrebbero essere pubblici e facilmente reperibili e usabili e invece vengono forniti (se forniti) di malavoglia, incompleti e senza alcuna soluzione di continuità. E se non sono riuscite a reperire dai dati utili due giornaliste, figuriamoci cosa possiamo mai ottenere noialtre normali cittadine se abbiamo bisogno di una IVG. Alla luce di tutto questo, non sembra più così strano che la relazione del Ministero della Salute arrivi spesso (molto) in ritardo.
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C’è un’idea dura a morire che torna spesso alla ribalta, magari sotto forma di articoli sensazionalistici, ed è quella della scoperta del gene responsabile di una certa caratteristica. Non importa che i nostri (circa) ventimila geni siano assolutamente insufficienti per essere associati ognuno a una sola caratteristica, l’idea che esista il gene dell’introversione, il gene dell’omosessualità o il gene dell’intelligenza è ancora lì.
Rutherford è qui per dirci che non esiste alcun “gene di”. Nemmeno il colore degli occhi, che a scuola ci portano a esempio subito dopo la lezione sugli esperimenti di Mendel sui piselli, dipende da un unico gene. Ogni caratteristica è influenzata da più geni, in modi che in gran parte ci sono ancora oscuri e non solo: l’ambiente gioca un ruolo fondamentale e non è più il caso di litigare sulla predominanza di natura o cultura. Le due non sono mai state in competizione ed entrambe …
C’è un’idea dura a morire che torna spesso alla ribalta, magari sotto forma di articoli sensazionalistici, ed è quella della scoperta del gene responsabile di una certa caratteristica. Non importa che i nostri (circa) ventimila geni siano assolutamente insufficienti per essere associati ognuno a una sola caratteristica, l’idea che esista il gene dell’introversione, il gene dell’omosessualità o il gene dell’intelligenza è ancora lì.
Rutherford è qui per dirci che non esiste alcun “gene di”. Nemmeno il colore degli occhi, che a scuola ci portano a esempio subito dopo la lezione sugli esperimenti di Mendel sui piselli, dipende da un unico gene. Ogni caratteristica è influenzata da più geni, in modi che in gran parte ci sono ancora oscuri e non solo: l’ambiente gioca un ruolo fondamentale e non è più il caso di litigare sulla predominanza di natura o cultura. Le due non sono mai state in competizione ed entrambe contribuiscono a plasmare chi siamo: la domanda ancora aperta è in che misura lo fanno – e non è detto che la misura sia la stessa per ogni caratteristica.
Ripercorrendo la storia dell’eugenetica insieme a Rutherford vediamo quanto l’idea di un gruppo di persone desiderabili in quanto “geneticamente migliori” implicasse una schiera di persone che invece non erano desiderabili, con conseguenze terribili per le loro vite, che andavano dalla sterilizzazione forzata all’eliminazione fisica. L’autore prende in esame solo tre Paesi (USA, Germania e Regno Unito), ma non è difficile riconoscere che certi pensieri sono passati (e passano) anche da queste parti.
Ma Rutherford va oltre e si chiede: alla fine quei Paesi che hanno applicato dei programmi di eugenetica hanno davvero visto sparire le caratteristiche che volevano eradicare? I dati dicono di no. Il che ha senso se pensate che lo stesso gene portatore di una caratteristica considerata desiderabile potrebbe anche influenzarne una indesiderabile. Gli ambiti geni che influenzerebbero l’intelligenza, per esempio, favorirebbero anche l’insorgenza di diverse malattie mentali.
L’eugenetica è un sogno di controllo da parte delle élite, che vorrebbe essere geneticamente – e quindi scientificamente e insindacabilmente – migliore della gran parte di noi. Infatti, l’ossessione per i “geni giusti” riguarda sempre il possesso delle caratteristiche ritenute necessarie per il successo: difficile sentir parlare della necessità di favorire in maniera artificiale lo spirito solidale o la gentilezza. E ancor meno si sente parlare dei metodi che si sono dimostrati più efficaci e meno costosi per aumentare l’intelligenza umana, come una banalissima istruzione pubblica di qualità. Ma immagino che questo significherebbe ammettere che niente se non il privilegio distingue la classe dominante da quelle subalterne.
@lena@social.treehouse.systems per ora ho letto solo Lettere a me stessa, ma ho anche tutti gli altri, quindi piano, piano li leggerò sicuramente