cretinodicrescenzago vorrebbe leggere Disturbed by Her Song di Tanith Lee
Disturbed by Her Song di Tanith Lee
Disturbed By Her Song collects the work of Esther Garber and her half-brother Judas Garbah, the mysterious family of writers …
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Il classico nerd sinistronzo: leggo narrativa fantastica classica, narrativa realistica con una trama (quindi niente dick lit), saggi di scienze sociali marxisti-femministi-decoloniali-froci, testi di mitologia, filosofia pagana e magia, e roba che tiene assieme tutto ciò.
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Disturbed By Her Song collects the work of Esther Garber and her half-brother Judas Garbah, the mysterious family of writers …
A recognized master fantasist, Tanith Lee has won multiple awards for her craft, including the British Fantasy Award, the World …
A recognized master fantasist, Tanith Lee has won numerous awards for her craft, including the World Fantasy Award for Life …
WINNER OF BRITISH FANTASY AWARD FOR BEST NOVEL
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In her now-classic tale The Silver Metal Lover, award-winning author Tanith Lee told the spellbinding story of Jane and her …
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[Vecchia recensione esportata da altro sito]
Iniziato entro un gruppo di lettura, lasciato a metà per sospensione del gruppo, ripreso in mano e terminato di volata durante l'estate (con una pausa in corrispondenza del mare), ne è valsa la pena fino all'ultima virgola – perché The Dispossessed potrebbe essere uno dei miei romanzi preferiti di sempre, a prescindere da epoca lingua e genere. Già sapevo dal ciclo di Terramare che zia Ursula è una maestra a rendere affascinanti e tangibili le vite quotidiane di società immaginarie ma plausibili, e a farci empatizzare con le piccole grandi storie di personaggi eminentemente umani per quanto ben lontani dal nostro vissuto (il che è la forma più bella di escapismo: quella che poi ci riporta a casa), ma a questo giro la nostra ha toccato due corde che per me valgono tanto: non solo The Dispossessed è uno racconto antropologico che contrappone una …
[Vecchia recensione esportata da altro sito]
Iniziato entro un gruppo di lettura, lasciato a metà per sospensione del gruppo, ripreso in mano e terminato di volata durante l'estate (con una pausa in corrispondenza del mare), ne è valsa la pena fino all'ultima virgola – perché The Dispossessed potrebbe essere uno dei miei romanzi preferiti di sempre, a prescindere da epoca lingua e genere. Già sapevo dal ciclo di Terramare che zia Ursula è una maestra a rendere affascinanti e tangibili le vite quotidiane di società immaginarie ma plausibili, e a farci empatizzare con le piccole grandi storie di personaggi eminentemente umani per quanto ben lontani dal nostro vissuto (il che è la forma più bella di escapismo: quella che poi ci riporta a casa), ma a questo giro la nostra ha toccato due corde che per me valgono tanto: non solo The Dispossessed è uno racconto antropologico che contrappone una società liberal-capitalista post-scarsità (e in tralice la speculare società comunista autoritaria) a una comunità anarchica libertaria che sopravvive caparbia nella ristrettezza, non solo tanta parte del conflitto verte su come una società orizzontale e federativa può nondimeno ricadere nella gerarchia o comunque nella stagnazione, non solo ci sono scene straordinarie e terribili di vita agraria e di movida accademica – ma in più tutto questo lo esperiamo attraverso la storia di formazione del nostro buon Shevek, che a mio parere di uomo autistico è palesemente un individuo neurodivergente con la classica combinazione di interessi assorbenti + rispetto ingenuo per le regole + penetrante senso critico, e buona parte del suo viaggio personale consiste nel costruirsi una propria comunità stretta come punto di partenza per cambiare in meglio il suo mondo (e poi il suo sistema solare) un passo per volta. È stato straordinario sentirmi così rappresentato in Shevek e Takver che diventano il cuore aggregante della loro famiglia elettiva ad Abbenay, e commuovermi fino alle lacrime per le orazioni di Shevek sul senso della lotta odoniana e la volontà costantemente rinnovata di creare un mondo nuovo e migliore – un elogio dell'anarchia positiva più potente, poetico e toccante di mille manifesti. Certo, ci sono alcune piccole sbavature d'intreccio (o grandi, nel caso di una certa scena violenta nel capitolo otto), ma se ho apprezzato di gusto un grande romanzo antitetico alla mia sensibilità quale Starship Troopers a maggior ragione sarò clemente con un testo così tanto nelle mie corde e mi "limiterò" a problematizzarlo senza fustigarlo – e a recuperare opere che siano in continuità con questo filone.
Grazie di questo capolavoro, zia Ursula; i compagni e le compagne se ne vanno ma restano nei nostri cuori, e le nostre idee continuano a indirizzarci.
[Prima recensione composta direttamente su Bookwyrm, yay!]
Conoscevo già il Ciclo Hainita di Ursula Le Guin per aver già letto The Left Hand of Darkness, che avevo apprezzato ma non del tutto colto, e The Dispossessed: An Ambiguous Utopia, che avevo adorato perché toccava tutti i tasti giusti al momento giusto. Ho voluto completare la tripletta dei romanzi centrali della serie, ergo ho recuperato pure The Word for World is Forest, già sapendo che trattandosi di una novella, non di un romanzo, ha un respiro e una complessità minore – ma trovo sia proprio questa la sua forza. Nella prefazione, Le Guin è molto franca: si rende perfettamente conto che l'opera nasceva come romanzo di denuncia "a tesi" nel pieno delle proteste contro la Guerra del Vietnam, e che proprio per questo raggiunge dei picchi taglienti di polemica e di "omelia" propagandistica, e i caratteri dei personaggi …
[Prima recensione composta direttamente su Bookwyrm, yay!]
Conoscevo già il Ciclo Hainita di Ursula Le Guin per aver già letto The Left Hand of Darkness, che avevo apprezzato ma non del tutto colto, e The Dispossessed: An Ambiguous Utopia, che avevo adorato perché toccava tutti i tasti giusti al momento giusto. Ho voluto completare la tripletta dei romanzi centrali della serie, ergo ho recuperato pure The Word for World is Forest, già sapendo che trattandosi di una novella, non di un romanzo, ha un respiro e una complessità minore – ma trovo sia proprio questa la sua forza. Nella prefazione, Le Guin è molto franca: si rende perfettamente conto che l'opera nasceva come romanzo di denuncia "a tesi" nel pieno delle proteste contro la Guerra del Vietnam, e che proprio per questo raggiunge dei picchi taglienti di polemica e di "omelia" propagandistica, e i caratteri dei personaggi sono monodimensionali rispetto ad altre sue opere... ma tutto ciò, secondo me, funziona benissimo lo stesso, perché il romanzo schierato è necessario, davanti a certi temi, e il tema qui è che in certe situazioni di violenza esistono inconfutabilmente una parte aggressora che agisce in malafede, e una parte offesa che ha diritto all'autodifesa: per citare Italo Calvino (uno che la guerra di Resistenza l'ha fatta e che Le Guin ammirava molto), è giustissimo che tutto il bene lo abbiano in cuore gli indigeni arboricoli di Athshe, il pianeta il cui nome vuol dire "foresta", mentre tutto il male stia nei soldati della spedizione coloniale terrestre, venuti a predare e saccheggiare e massacrare – perché nel futuro di Le Guin la mentalità fascista e capitalista non è venuta meno per un cavolo, e il napalm irrora le forestre extraterrestri come già aveva irrorato l'Indocina e la Palestina, ma se l'indigeno osa alzare un dito contro il colonizzatore predatore allora apriti cielo. In ogni caso, al di là della "facile" metafora bellica da riapplicare alla nostra situazione sulla Terra, questa "novella" minore si difende bene anche nella speculazione sociologica, che è la grande cifra della nostra autrice: la cultura delle comunità athsheane ha una tangibilità clamorosa, dall'architettura dei villaggi alla ripartizione dei ruoli sociali fra donne e uomini ("Agli uomini il lavoro intellettuale, alle donne quello politico, all'interazione fra loro l'etica"), fino alla splendida contrapposizione tematica fra la capacità degli athsheani di vivere veglia e sonno come un continuum e costruire di conseguenza la propria cosmologia, in contrasto con le tossicodipendenze varie ed eventuali dei Terrestri – e non è un caso che l'eroe della resistenza indigena, Selver, sia appunto uno sciamano addestrato a vivere nelle profondità del sogno, che usa le sue capacità per accogliere nella propria cultura il bene e il male portato dai Terrestri, mentre il capitano Davidson, l'antagonista che Le Guin, pur non volendo, ha dipinto come intrinsecamente malvagio, sia tale in quanto militare razzista, misogino, scientista, tossicomane e intellettualmente intrappolato in un circolo vizioso egoriferito, tale per cui la sua percezione delle cose salta di palo in frasca così da dargli sempre ragione a prescindere – letteralmente, l'archetipo (non lo stereotipo, l'archetipo) della peggiore merda che ha prodotto l'Occidente. Un romanzo breve violento e amaro, ma anche fonte di speranza. Un romanzo da leggere ora che l'Occidente sta ritornando apertamente fascista, e solo i popoli indigeni in rivolta hanno la superiorità morale per tentare di scrivere una diversa storia.
When the inhabitants of a peaceful world are conquered by the bloodthirsty yumens, they find themselves forced into servitude, at …