Baylee ha iniziato a leggere Dimora di ruggine di Khadija Abdalla Bajaber

Dimora di ruggine di Khadija Abdalla Bajaber
La giovane Aisha vive a Mombasa insieme alla nonna e al padre, un pescatore di origini Hadrami. Quando l’uomo scompare …
Femminista in fieri, aroace, atea agnostica, lettrice curiosa, book blogger, amante dell'inverno e del tè caldo.
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Il Presidente dell’Aburiria – poverissimo paese africano vessato dalla dittatura – soffre di una strana malattia: l’uomo vorace e senza …
Quando nelle nostre cronache si affaccia la notizia del ritrovamento di un cadavere senza nome ci sembra logico che si metta in moto una procedura per sapere chi sia per poter comunicare la triste notizia a eventuali familiari. Quando accade un disastro, ci pare naturale che le autorità di adoperino per risalire ai nomi delle vittime e mettersi in contatto con le famiglie. Quando affonda un barcone nel Mediterraneo, nessunə si stupisce che vengano contantə ə superstiti e dimenticatə ə mortə.
Cristina Cattaneo, invece, ha pensato che non era il caso. Direttrice del LABANOF, il Laboratorio di antropologia e odontologia forense, ha pensato che, con le sue competenze, poteva dare una mano. Poteva aiutare a identificare tutti quei morti e dare alle famiglie modo di sapere, in maniera inequivocabile, cosa era accaduto aə loro carə. Per permettere loro di andare avanti e non rimanere bloccatə nell’inferno dell’incertezza.
La notte del …
Quando nelle nostre cronache si affaccia la notizia del ritrovamento di un cadavere senza nome ci sembra logico che si metta in moto una procedura per sapere chi sia per poter comunicare la triste notizia a eventuali familiari. Quando accade un disastro, ci pare naturale che le autorità di adoperino per risalire ai nomi delle vittime e mettersi in contatto con le famiglie. Quando affonda un barcone nel Mediterraneo, nessunə si stupisce che vengano contantə ə superstiti e dimenticatə ə mortə.
Cristina Cattaneo, invece, ha pensato che non era il caso. Direttrice del LABANOF, il Laboratorio di antropologia e odontologia forense, ha pensato che, con le sue competenze, poteva dare una mano. Poteva aiutare a identificare tutti quei morti e dare alle famiglie modo di sapere, in maniera inequivocabile, cosa era accaduto aə loro carə. Per permettere loro di andare avanti e non rimanere bloccatə nell’inferno dell’incertezza.
La notte del 3 ottobre 2013, intorno alle 4.30, un’imbarcazione si rovesciò al largo dell’Isola dei Conigli, a Lampedusa. Portava un carico di circa seicento persone, quasi tutti di origine eritrea. Furono recuperati 366 cadaveri. Le vittime dei barconi non erano certo una novità, ma questo disastro scosse le coscienze più di tutti gli altri casi. Da lì nacque l’operazione “Mare Nostrum”, e da lì si iniziò, seppur molto lentamente, a pensare ai loro morti come ai nostri.
Cattaneo ci spiega come funziona la procedura standard per risalire all’identità di un cadavere sconosciuto e di tutte le difficoltà aggiuntive che si incontrano nel dare un nome a una persona migrante, dall’ottenere un campione di DNA utile da unə familiare all’impossibilità di avere una lista passeggerə. Tutt’oggi, infatti, molte di quelle persone continuano a non avere un nome, nonostante gli sforzi del LABANOF continuino ancora oggi.
Il lavoro di Cattaneo non cerca di rendere la loro umanità solo ai cadaveri senza nome, ma anche a noi che siamo persə nella fatica e nel logorio dell’odio, che sembra ormai tracimare e pervadere ogni cosa. Eppure non sono ancora trascorsi dodici anni da quando le cose avrebbero potuto andare diversamente e ne sono trascorsi almeno una decina da quando avrebbe dovuto essere evidente che la disumanità non avrebbe magicamente risolto la questione migratoria. Eppure da lì non riusciamo a smuoverci.
Come ci ha abituato nei suoi precedenti lavori, Nagata è molto onesta e a questo giro, oltre che affrontare la pancreatite dovuta all’abuso di alcol e il conseguente ricovero, deve affrontare le conseguenze di aver pubblicato due memoir che hanno ferito la sua famiglia. Nagata non vuole aggiungere altro senso di colpa a quello che già prova e quindi decide di non scrivere più memoir, ma di buttarsi nelle opere di narrativa.
Niente di male in questo, ovviamente: ogni autorə ha il diritto di scrivere quello che lə sembra più congeniale. Il problema di Nagata è che questa decisione non sembra il frutto di una libera scelta, ma un imperativo dettato dalla paura del giudizio altrui, sia quello della sua famiglia, sia quello deə lettorə. Sembra che moltə abbiano pensato che tutte le cose spiacevoli che sono accadute a Nagata se le sia meritate in virtù del suo comportamento sbagliato …
Come ci ha abituato nei suoi precedenti lavori, Nagata è molto onesta e a questo giro, oltre che affrontare la pancreatite dovuta all’abuso di alcol e il conseguente ricovero, deve affrontare le conseguenze di aver pubblicato due memoir che hanno ferito la sua famiglia. Nagata non vuole aggiungere altro senso di colpa a quello che già prova e quindi decide di non scrivere più memoir, ma di buttarsi nelle opere di narrativa.
Niente di male in questo, ovviamente: ogni autorə ha il diritto di scrivere quello che lə sembra più congeniale. Il problema di Nagata è che questa decisione non sembra il frutto di una libera scelta, ma un imperativo dettato dalla paura del giudizio altrui, sia quello della sua famiglia, sia quello deə lettorə. Sembra che moltə abbiano pensato che tutte le cose spiacevoli che sono accadute a Nagata se le sia meritate in virtù del suo comportamento sbagliato e che il suo successo sia immeritato perché frutto del suo piangersi addosso. Una dinamica che negli ultimi tempi di Internet ci è diventata tristemente familiare e che dovremmo dare il nostro piccolo contributo a ridurre. Per un ambiente digitale più pulito.
Vogliamo leggere bei libri, no? Com’è possibile farlo se chi li scrive non si sente a suo agio a pubblicare la storia che ha in testa? Di sicuro non sono qui a ergermi a giudice supremo perché sono la prima a essersi divertita a scrivere recensioni cattive in passato: anche se non credo di essere mai andata sul personale, con l’accumulare esperienza di blogger mi sono resa conto che sono la strada facile. È molto facile essere cattivə con un libro che non ci è piaciuto invece che pensare a delle critiche costruttive: ma questo non aumenta le possibilità di leggere un buon libro perché non mette in circolo nessuna buona indicazione su come si scrive un libro interessante.
Sono tanto felice che alla fine Nagata abbia ritrovato la sua salute e la sua determinazione nello scrivere memoir con l’aggiunta della scoperta di poter scrivere narrativa sulla base di tematiche che le stanno a cuore e che le facciano venire voglia di disegnare. Quindi, alla prossima, cara Nagata! Non vedo l’ora di leggere altri tuoi lavori!
La città assente non è il genere di romanzo da leggere mentre si trasloca e la mente è tutta presa dallo scoprire che la doccia non produce acqua calda, dal ricordarti dove hai messo cosa e dal cercare di capire perché all’improvviso il frigorifero avesse preso a lanciare lamenti non appena lo aprivo. Potrà sembrare un libriccino innocuo, ma La città assente è denso quanto l’osmio e in poco più di cento pagine contiene una quantità di tematiche e sperimentazioni narrative che ha dell’incredibile.
Come ci fa notare Tommaso Pincio nell’introduzione, è un romanzo che, senza scendere troppo nei dettagli, si può leggere in quattro modi diversi: come la storia di una macchina, come un romanzo che è una macchina di storie, come un mix delle due tipologie precedenti e come se fossimo davanti a una macchina che parla di una macchina per produrre macchine. Confusə? Lo so, ecco perché …
La città assente non è il genere di romanzo da leggere mentre si trasloca e la mente è tutta presa dallo scoprire che la doccia non produce acqua calda, dal ricordarti dove hai messo cosa e dal cercare di capire perché all’improvviso il frigorifero avesse preso a lanciare lamenti non appena lo aprivo. Potrà sembrare un libriccino innocuo, ma La città assente è denso quanto l’osmio e in poco più di cento pagine contiene una quantità di tematiche e sperimentazioni narrative che ha dell’incredibile.
Come ci fa notare Tommaso Pincio nell’introduzione, è un romanzo che, senza scendere troppo nei dettagli, si può leggere in quattro modi diversi: come la storia di una macchina, come un romanzo che è una macchina di storie, come un mix delle due tipologie precedenti e come se fossimo davanti a una macchina che parla di una macchina per produrre macchine. Confusə? Lo so, ecco perché ho esordito raccomandandovi di non seguire il mio esempio e leggerlo con la mente pronta a concentrarsi sulla lettura.
È difficile dare un’idea di cosa sia La città assente: la sua struttura – sempre che la si possa definire così – è tanto frammentata da dare l’idea che sia un mosaico di cui ci vengono consegnate le tessere in un sacchetto anonimo, senza un’immagine di riferimento finale. Arrovesciando il sacchetto e cominciando a guardare le tessere possiamo ipotizzare dei disegni: un cielo stellato, un mare in tempesta, un sontuoso vestito tempestato di gemme… qual era l’immagine pensata da chi aveva preparato proprio quelle tessere?
Ecco, La città assente genere questo tipo di confusione. È una strana storia – o una storia di storie, o una storia che racconta di una storia che produce storie – una di quelle che sembrano assolutamente refrattarie a essere accomodanti con ə loro lettorə. Peccato averlo letto quando nemmeno la mia attenzione era troppo accomodante…

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Il concetto di omofobia emerge all'inizio degli anni Settanta del secolo scorso e rapidamente si impone come strumento scientifico per …

Quando navighiamo sul web, parliamo allo smartphone, effettuiamo operazioni online o usiamo i social network, lasciamo inevitabilmente tracce della nostra …
La qualità del merito, ciò che viene chiamata meritocrazia, è determinata dalla raccolta del consenso, un’operazione sempre più tecnologicamente organizzata che prescinde dalle capacità politiche, dal senso di responsabilità, dalle idee innovative di governo, dalla saggezza tipica del legislatore. La lotteria elettorale è governata dai dispositivi di cattura del consenso, che si spingono sino a costruire un simulacro tutto virtuale di coscienza politica idonea a trasformarsi in espressione, questa volta corporea, di consenso verso quella parte che sarà stata più abile a costruirsi le griglie identitarie digitali degli elettori, paragonati a consumatori di offerta politica calibrata su una domanda a sua volta sapientemente e artificialmente indotta dai dati che lasciamo ogni volta che utilizziamo dispositivi digitali.
— Gli algoritmi della politica di Salvo Vaccaro (53%)
L’ho già scritto, ma l’ho fatto solo sul Fediverso e moltə di voi non lo frequentano, quindi lo ribadisco qua prima ancora di iniziare a scrivere di questo libro: se siete appassionatə di fantascienza, leggetelo! Non è un libro facile, perché scritto da persone con un titolo di studio elevato e specifico sull’argomento, ma la fatica che potrete fare nel raccapezzarvi ne varrà la pena.
Questa raccolta di saggi, infatti, è curata da Lidia Curti, che è stata professore onorario all’Università di Napoli “L’Orientale” e studiosa femminista di studi culturali e post-coloniali, e raccoglie le riflessioni nate all’interno del gruppo di lettura e ricerca omonimo, composto da studiose di età e interessi diversi. I libri oggetto di lettura e indagine sono stati diversi e molti di sicuro vi diranno qualcosa (La vegetariana di Han Kang, La mano sinistra del buio di Ursula K. Le Guin, il Ciclo delle …
L’ho già scritto, ma l’ho fatto solo sul Fediverso e moltə di voi non lo frequentano, quindi lo ribadisco qua prima ancora di iniziare a scrivere di questo libro: se siete appassionatə di fantascienza, leggetelo! Non è un libro facile, perché scritto da persone con un titolo di studio elevato e specifico sull’argomento, ma la fatica che potrete fare nel raccapezzarvi ne varrà la pena.
Questa raccolta di saggi, infatti, è curata da Lidia Curti, che è stata professore onorario all’Università di Napoli “L’Orientale” e studiosa femminista di studi culturali e post-coloniali, e raccoglie le riflessioni nate all’interno del gruppo di lettura e ricerca omonimo, composto da studiose di età e interessi diversi. I libri oggetto di lettura e indagine sono stati diversi e molti di sicuro vi diranno qualcosa (La vegetariana di Han Kang, La mano sinistra del buio di Ursula K. Le Guin, il Ciclo delle Parabole di Octavia E. Butler, la serie Binti di Nnedi Okorafor e molti altri).
I saggi sono tutti molto stimolanti: mi hanno fatto venire una voglia matta di fantascienza e mi sono segnata diversi titoli di opere che non avevo mai sentito nominare. Essendo elaborati di studiose ci sono delle interpretazioni e dei collegamenti ai quali non avrei mai pensato da sola e sono loro molto grata per avermi dato delle chiavi di lettura capaci di spalancare le porte della visione femminista del futuro.
Il femminismo, infatti, è pensiero e pratica in continua evoluzione: ama indagare cosa c’è al di là di ogni confine, mescolare le carte e uscire dalle norme. Per questo la fantascienza femminista è così ricca di storie dove si abbattono le barriere identitarie e si comunica tra soggetti che si vorrebbero estranei. E vedere strade nuove per unire le nostre società è proprio quello che ci manca in questo momento.
Che i numeri siano sempre stati considerati unità di misura tesa al controllo è risaputo; che attorno ai numeri sia proliferata una serie infinita di figure egemoniche che hanno fatto della loro particolare sapienza, o versatilità all’immediata comprensione, uno strumento di affermazione personale in termini di acquisizione di potere e di prestigio, è altrettanto risaputo. Pensare che tutto ciò appartenga al campo della superstizione, della divinazione, della stregoneria (nel senso etnologico del termine, se non altro), e che quindi si sia già avviato in direzione dell’estinzione o della marginalità storica in epoca moderna, è un’affermazione azzardata, giusto oggi che l’uso e l’abuso degli algoritmi hanno (ri)dato vita a nuovi «indovini digitali».
— Gli algoritmi della politica di Salvo Vaccaro (14%)

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La mia esperienza di parlamentare mi ha portato a rimettere totalmente in discussione la percezione che avevo della politica. Una …
Penso che Boy Erased sia uno dei memoir più brutti che abbia mai letto nella mia vita. Avevo letto delle opinioni poco lusinghiere sulla scrittura di Conley, ma pensavo sinceramente che la sua storia – essere cresciuto in un ambiente fondamentalista cristiano ed essere stato sottoposto alla terapia riparativa dopo che i suoi genitori avevano scoperto la sua omosessualità – mi avrebbe fatto provare abbastanza simpatia per lui anche se non aveva scritto il memoir più bello del mondo.
E invece per niente: Boy Erased è riuscito nell’impresa di non dirmi assolutamente niente su un tema al quale sono così sensibile. È un libro che secondo me ha diversi problemi, il primo dei quali è sicuramente l’esposizione dei fatti. Ovviamente trattando di eventi realmente accaduti unə autorə non può intervenire sul modo in cui si sono svolti, ma cercherà di organizzarli in modo che lə lettorə lə segua lungo un …
Penso che Boy Erased sia uno dei memoir più brutti che abbia mai letto nella mia vita. Avevo letto delle opinioni poco lusinghiere sulla scrittura di Conley, ma pensavo sinceramente che la sua storia – essere cresciuto in un ambiente fondamentalista cristiano ed essere stato sottoposto alla terapia riparativa dopo che i suoi genitori avevano scoperto la sua omosessualità – mi avrebbe fatto provare abbastanza simpatia per lui anche se non aveva scritto il memoir più bello del mondo.
E invece per niente: Boy Erased è riuscito nell’impresa di non dirmi assolutamente niente su un tema al quale sono così sensibile. È un libro che secondo me ha diversi problemi, il primo dei quali è sicuramente l’esposizione dei fatti. Ovviamente trattando di eventi realmente accaduti unə autorə non può intervenire sul modo in cui si sono svolti, ma cercherà di organizzarli in modo che lə lettorə lə segua lungo un percorso, un ragionamento, una maturazione: un filo rosso che generalmente è il motivo per cui si scrive il memoir.
Boy Erased mi è sembrato sprovvisto di questo filo rosso: Conley racconta diversi eventi della sua vita, ma sono così scollegati l’uno dall’altro che alla fine della lettura farei fatica a raccontare in maniera cronologica come si sono svolti i fatti. Non aiuta nemmeno che Conley abbia uno stile incredibilmente melodrammatico e carico: che bisogno c’è di annegare una storia che già di suo è drammatica con tutto questo patetismo e leziosità?
Ma l’elemento che forse mi ha dato più fastidio è che Boy Erased è una lunga lagna. Conley non è mai davvero critico verso niente di ciò che gli è successo: se ne lamenta e basta. Certo, non possiamo biasimarlo, ma le lagne sono lagne e da sole non fanno una critica costruttiva e non arricchiscono in alcun modo il dibattito sulla messa al bando delle terapie riparative.
Il punto è che aver avuto una certa esperienza non rende automaticamente in grado di parlare di quell’esperienza in modo intellegibile da chiunque: serve molto lavoro psicologico e forse anche filosofico e l’impressione che Conley dà di sé in questo libro è di essere rimasto bloccato da qualche parte nel suo percorso di elaborazione. Mi auguro che almeno scrivere questo libro lo abbia aiutato ad andare avanti e a ritrovare la serenità.

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