@cretinodicrescenzago poi ci stupiamo se la gente è convinta che non sono mai esistite grandi scrittrici prima di oggi o che la letteratura di genere non è degna dei palati letterari più fini... 😑
Il concetto di omofobia emerge all'inizio degli anni Settanta del secolo scorso e rapidamente si …
Vi è quindi un generale consenso, in letteratura, nel considerare l’omofobia dei giovani maschi, rivolta soprattutto verso i loro pari, come strumento di imposizione di un’identità maschile improntata alla ricerca dei segni della virilità tramite la svalutazione e l’opera di degradazione di tutto ciò che vi si oppone simbolicamente. Questo tipo di spiegazioni hanno un carattere parzialmente transculturale poiché si applicano anche a contesti molto diversi tra loro.
Altre spiegazioni transculturali possono essere ritrovate nei modelli psico-sociali di indagine, e fanno riferimento in genere a caratteristiche di personalità come l’autoritarismo, l’ultraconformismo e in parte il conservatorismo. Mauceri (2015) ha rilevato per esempio come lo sviluppo del pregiudizio omofobico tra i giovani dipenda anche dalla provenienza familiare, e in particolare si associ alla presenza di pressioni ideologiche conservatrici o all’esperienza di un clima autoritario.
La prima parte del libro è dedicata alla storia dell’autore e a quella dei profughi …
Il racconto di un muro
4 stelle
Nasser Abu Srour è un uomo palestinese condannato all’ergastolo e detenuto in una prigione israeliana dal 1993, sembrerebbe in seguito a una confessione estorta con la tortura – il condizionale mi sembra d’obbligo solo perché non ho modo di sapere se la versione di Srour è stata verificata, anche se non faccio fatica a credergli dato lo stato disumano del sistema giudiziario israeliano.
Il racconto di un muro non è uno di quei libri su cui possa dire granché: cosa puoi dire di una testimonianza che sembra contenere tutto il dolore del mondo? È un libro che si legge con umiltà e rispetto, lasciando che il dolore dell’ingiustizia e dell’abuso ci attraversi e ci bruci. Perché questa non è solo la storia di Nasser Abu Srour: lui ha voluto anche essere il testimone di avvenimenti e fatti che travalicano la sua persona e si fanno storia collettiva di un popolo …
Nasser Abu Srour è un uomo palestinese condannato all’ergastolo e detenuto in una prigione israeliana dal 1993, sembrerebbe in seguito a una confessione estorta con la tortura – il condizionale mi sembra d’obbligo solo perché non ho modo di sapere se la versione di Srour è stata verificata, anche se non faccio fatica a credergli dato lo stato disumano del sistema giudiziario israeliano.
Il racconto di un muro non è uno di quei libri su cui possa dire granché: cosa puoi dire di una testimonianza che sembra contenere tutto il dolore del mondo? È un libro che si legge con umiltà e rispetto, lasciando che il dolore dell’ingiustizia e dell’abuso ci attraversi e ci bruci. Perché questa non è solo la storia di Nasser Abu Srour: lui ha voluto anche essere il testimone di avvenimenti e fatti che travalicano la sua persona e si fanno storia collettiva di un popolo che dalla nakba del 1948 non ha avuto né pace né giustizia.
Non è il tipo di libro che consiglierei con leggerezza perché, sebbene pensi che sia più importante che mai vedere e riconoscere il dolore del popolo palestinese, allo stesso tempo se le notizie dalla Striscia di Gaza già vi fanno stare male, forse non è il caso di aggiungere anche Il racconto di un muro. Se già la condanna e l’ergastolo di Srour appaiono pretestuose, non vi dico quanto sia straziante leggerlo alla luce della guerra e del genocidio che hanno seguito l’attentato del 7 ottobre 2023: con quale logica dovremmo condannare e punire un intero popolo per qualcosa commesso da alcuni esponenti di un gruppo terroristico? Gruppo terroristico che – non dimentichiamolo – è nato nel terreno fertile della disumanizzazione costante portata avanti da Israele nei confronti deə palestinesə.
Nasser Abu Srour ci augura una lettura scomoda nel presentarci il suo libro. Di sicuro riesce molto bene a rappresentarci la privazione di libertà data dal carcere senza possibilità di una via d’uscita e dall’appartenete a un popolo al quale viene sistematicamente negata non solo la possibilità all’autodeterminazione, ma anche il mero diritto a esistere.
Il corpo di un ragazzo con in tasca un sacchetto di terra del suo paese, …
Naufraghi senza volto
5 stelle
Quando nelle nostre cronache si affaccia la notizia del ritrovamento di un cadavere senza nome ci sembra logico che si metta in moto una procedura per sapere chi sia per poter comunicare la triste notizia a eventuali familiari. Quando accade un disastro, ci pare naturale che le autorità di adoperino per risalire ai nomi delle vittime e mettersi in contatto con le famiglie. Quando affonda un barcone nel Mediterraneo, nessunə si stupisce che vengano contantə ə superstiti e dimenticatə ə mortə.
Cristina Cattaneo, invece, ha pensato che non era il caso. Direttrice del LABANOF, il Laboratorio di antropologia e odontologia forense, ha pensato che, con le sue competenze, poteva dare una mano. Poteva aiutare a identificare tutti quei morti e dare alle famiglie modo di sapere, in maniera inequivocabile, cosa era accaduto aə loro carə. Per permettere loro di andare avanti e non rimanere bloccatə nell’inferno dell’incertezza.
La notte del …
Quando nelle nostre cronache si affaccia la notizia del ritrovamento di un cadavere senza nome ci sembra logico che si metta in moto una procedura per sapere chi sia per poter comunicare la triste notizia a eventuali familiari. Quando accade un disastro, ci pare naturale che le autorità di adoperino per risalire ai nomi delle vittime e mettersi in contatto con le famiglie. Quando affonda un barcone nel Mediterraneo, nessunə si stupisce che vengano contantə ə superstiti e dimenticatə ə mortə.
Cristina Cattaneo, invece, ha pensato che non era il caso. Direttrice del LABANOF, il Laboratorio di antropologia e odontologia forense, ha pensato che, con le sue competenze, poteva dare una mano. Poteva aiutare a identificare tutti quei morti e dare alle famiglie modo di sapere, in maniera inequivocabile, cosa era accaduto aə loro carə. Per permettere loro di andare avanti e non rimanere bloccatə nell’inferno dell’incertezza.
La notte del 3 ottobre 2013, intorno alle 4.30, un’imbarcazione si rovesciò al largo dell’Isola dei Conigli, a Lampedusa. Portava un carico di circa seicento persone, quasi tutti di origine eritrea. Furono recuperati 366 cadaveri. Le vittime dei barconi non erano certo una novità, ma questo disastro scosse le coscienze più di tutti gli altri casi. Da lì nacque l’operazione “Mare Nostrum”, e da lì si iniziò, seppur molto lentamente, a pensare ai loro morti come ai nostri.
Cattaneo ci spiega come funziona la procedura standard per risalire all’identità di un cadavere sconosciuto e di tutte le difficoltà aggiuntive che si incontrano nel dare un nome a una persona migrante, dall’ottenere un campione di DNA utile da unə familiare all’impossibilità di avere una lista passeggerə. Tutt’oggi, infatti, molte di quelle persone continuano a non avere un nome, nonostante gli sforzi del LABANOF continuino ancora oggi.
Il lavoro di Cattaneo non cerca di rendere la loro umanità solo ai cadaveri senza nome, ma anche a noi che siamo persə nella fatica e nel logorio dell’odio, che sembra ormai tracimare e pervadere ogni cosa. Eppure non sono ancora trascorsi dodici anni da quando le cose avrebbero potuto andare diversamente e ne sono trascorsi almeno una decina da quando avrebbe dovuto essere evidente che la disumanità non avrebbe magicamente risolto la questione migratoria. Eppure da lì non riusciamo a smuoverci.
Anche dopo il successo, la vita di Kabi Nagata non è certo diventata più facile, …
La mia fuga alcolica
5 stelle
Come ci ha abituato nei suoi precedenti lavori, Nagata è molto onesta e a questo giro, oltre che affrontare la pancreatite dovuta all’abuso di alcol e il conseguente ricovero, deve affrontare le conseguenze di aver pubblicato due memoir che hanno ferito la sua famiglia. Nagata non vuole aggiungere altro senso di colpa a quello che già prova e quindi decide di non scrivere più memoir, ma di buttarsi nelle opere di narrativa.
Niente di male in questo, ovviamente: ogni autorə ha il diritto di scrivere quello che lə sembra più congeniale. Il problema di Nagata è che questa decisione non sembra il frutto di una libera scelta, ma un imperativo dettato dalla paura del giudizio altrui, sia quello della sua famiglia, sia quello deə lettorə. Sembra che moltə abbiano pensato che tutte le cose spiacevoli che sono accadute a Nagata se le sia meritate in virtù del suo comportamento sbagliato …
Come ci ha abituato nei suoi precedenti lavori, Nagata è molto onesta e a questo giro, oltre che affrontare la pancreatite dovuta all’abuso di alcol e il conseguente ricovero, deve affrontare le conseguenze di aver pubblicato due memoir che hanno ferito la sua famiglia. Nagata non vuole aggiungere altro senso di colpa a quello che già prova e quindi decide di non scrivere più memoir, ma di buttarsi nelle opere di narrativa.
Niente di male in questo, ovviamente: ogni autorə ha il diritto di scrivere quello che lə sembra più congeniale. Il problema di Nagata è che questa decisione non sembra il frutto di una libera scelta, ma un imperativo dettato dalla paura del giudizio altrui, sia quello della sua famiglia, sia quello deə lettorə. Sembra che moltə abbiano pensato che tutte le cose spiacevoli che sono accadute a Nagata se le sia meritate in virtù del suo comportamento sbagliato e che il suo successo sia immeritato perché frutto del suo piangersi addosso. Una dinamica che negli ultimi tempi di Internet ci è diventata tristemente familiare e che dovremmo dare il nostro piccolo contributo a ridurre. Per un ambiente digitale più pulito.
Vogliamo leggere bei libri, no? Com’è possibile farlo se chi li scrive non si sente a suo agio a pubblicare la storia che ha in testa? Di sicuro non sono qui a ergermi a giudice supremo perché sono la prima a essersi divertita a scrivere recensioni cattive in passato: anche se non credo di essere mai andata sul personale, con l’accumulare esperienza di blogger mi sono resa conto che sono la strada facile. È molto facile essere cattivə con un libro che non ci è piaciuto invece che pensare a delle critiche costruttive: ma questo non aumenta le possibilità di leggere un buon libro perché non mette in circolo nessuna buona indicazione su come si scrive un libro interessante.
Sono tanto felice che alla fine Nagata abbia ritrovato la sua salute e la sua determinazione nello scrivere memoir con l’aggiunta della scoperta di poter scrivere narrativa sulla base di tematiche che le stanno a cuore e che le facciano venire voglia di disegnare. Quindi, alla prossima, cara Nagata! Non vedo l’ora di leggere altri tuoi lavori!
Con grande maestria e uno stile impeccabile, Piglia costruisce una complessa narrazione che rende La …
La città assente
4 stelle
La città assente non è il genere di romanzo da leggere mentre si trasloca e la mente è tutta presa dallo scoprire che la doccia non produce acqua calda, dal ricordarti dove hai messo cosa e dal cercare di capire perché all’improvviso il frigorifero avesse preso a lanciare lamenti non appena lo aprivo. Potrà sembrare un libriccino innocuo, ma La città assente è denso quanto l’osmio e in poco più di cento pagine contiene una quantità di tematiche e sperimentazioni narrative che ha dell’incredibile.
Come ci fa notare Tommaso Pincio nell’introduzione, è un romanzo che, senza scendere troppo nei dettagli, si può leggere in quattro modi diversi: come la storia di una macchina, come un romanzo che è una macchina di storie, come un mix delle due tipologie precedenti e come se fossimo davanti a una macchina che parla di una macchina per produrre macchine. Confusə? Lo so, ecco perché …
La città assente non è il genere di romanzo da leggere mentre si trasloca e la mente è tutta presa dallo scoprire che la doccia non produce acqua calda, dal ricordarti dove hai messo cosa e dal cercare di capire perché all’improvviso il frigorifero avesse preso a lanciare lamenti non appena lo aprivo. Potrà sembrare un libriccino innocuo, ma La città assente è denso quanto l’osmio e in poco più di cento pagine contiene una quantità di tematiche e sperimentazioni narrative che ha dell’incredibile.
Come ci fa notare Tommaso Pincio nell’introduzione, è un romanzo che, senza scendere troppo nei dettagli, si può leggere in quattro modi diversi: come la storia di una macchina, come un romanzo che è una macchina di storie, come un mix delle due tipologie precedenti e come se fossimo davanti a una macchina che parla di una macchina per produrre macchine. Confusə? Lo so, ecco perché ho esordito raccomandandovi di non seguire il mio esempio e leggerlo con la mente pronta a concentrarsi sulla lettura.
È difficile dare un’idea di cosa sia La città assente: la sua struttura – sempre che la si possa definire così – è tanto frammentata da dare l’idea che sia un mosaico di cui ci vengono consegnate le tessere in un sacchetto anonimo, senza un’immagine di riferimento finale. Arrovesciando il sacchetto e cominciando a guardare le tessere possiamo ipotizzare dei disegni: un cielo stellato, un mare in tempesta, un sontuoso vestito tempestato di gemme… qual era l’immagine pensata da chi aveva preparato proprio quelle tessere?
Ecco, La città assente genere questo tipo di confusione. È una strana storia – o una storia di storie, o una storia che racconta di una storia che produce storie – una di quelle che sembrano assolutamente refrattarie a essere accomodanti con ə loro lettorə. Peccato averlo letto quando nemmeno la mia attenzione era troppo accomodante…