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Shirley Jackson: Abbiamo sempre vissuto nel castello (Italian language, 2009, Adelphi) 4 stelle

«A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce»: con questa …

Review of 'Abbiamo sempre vissuto nel castello' on 'Goodreads'

4 stelle

Già nel primo paragrafo del romanzo, Shirley Jackson è capace di inquietare il lettore e, infatti, proprio l'incipit è citato nel risvolto di copertina a mo' d'esempio.

Non immaginatevi un thriller pieno di sangue, violenza o morti efferate: l'inquietudine che Abbiamo sempre vissuto nel castello trasmette deriva da una normalità sottilmente malata, da un'idiosincrasia per il mondo in quanto portatore di caos.

Gli abitanti di casa Blackwood, infatti, vivono felicemente persi nelle loro menti: Zio Julian continua a rivivere il giorno in cui gran parte della famiglia morì avvelenata, mentre Mary Katherine “Merricat”, voce narrante, sembra un incrocio tra una piccola strega e un dispettoso folletto dei boschi. Constance Blackwood, invece, sorella maggiore di Merricat, è bloccata in casa dalla paura di ciò che c'è “là fuori”, compresa la furia dei compaesani che la reputano colpevole della morte dei suoi familiari. Eppure anche lei non sembra del tutto umana: nel suo sconfinato amore per il suo orto e per la cucina, assomiglia ad una fata benefica, leggiadra ed eterea.

E proprio questo alone di soprannaturalità finirà per fagocitare le vite degli abitanti di casa Blackwood, dopo che queste saranno sconvolte dall'arrivo del cugino Charles, il quale rappresenta la summa di tutto il Male che prospera appena al di là del cancello.

Alla fine, proprio a causa della meschinità di Charles e dagli eventi da lui scatenati, ci troveremo a fare il tifo per la follia di Merricat e incroceremo le dita affinché lei e sua sorella riescano nel loro intento. Eppure l'inquietudine non ci abbandona mai durante la lettura. Anzi, essa raggiunge forse la sua nota più alta nella frase finale, quando la conclusione di Merricat ci lascia assolutamente smarriti di fronte alla sua affermazione che non può che suonarci ossimorica.