Per molti l'anarchia è un improponibile modello sociale basato sulla disorganizzazione caotica. Per altri è invece un'utopia generosa ma impraticabile. Ribaltando entrambe le interpretazioni, Ward la intende come un'efficace forma di organizzazione non gerarchica, una vivente realtà sociale che è sempre esistita e tuttora esiste nelle pieghe della prevalente società del dominio. Utilizzando un'ampia varietà di fonti, l'autore articola in modo convincente la sua tesi volutamente paradossale, con argomenti tratti dalla sociologia, dall'antropologia, dalla cibernetica, dalla psicologia industriale, ma anche da esperienze nel campo della pianificazione, del lavoro, del gioco...
Il libro è molto semplice, ed è per lo più una raccolta aneddotica dell'anarchia che già oggi viene praticata all'interno della società che anarchica non è, ma che possono essere estese. Perché non ci sarà uno scontro finale e definitivo tra autoritari e libertari, ma una lotta permanente.
Quando si pensa all’anarchia si pensa automaticamente al caos, tanto che, al di fuori della teoria politica, il termine indica una situazione di scompiglio dove tuttə fanno quello che lə pare senza badare a regole o limiti. Ha preso dunque un’accezione piuttosto negativa perché nell’anarchia generale verrebbero meno anche quelle regole del vivere civile che ci permettono di stare nella società con relativa tranquillità.
Una sorte davvero singolare per un termine che, da etimologia, significa semplicemente “assenza di potere” e per una realtà che vede molte brutture del mondo scatenarsi proprio per lotte di potere. Colin Ward quindi si propone di riportare la nostra attenzione sul fatto che l’anarchia non è tanto un ideale astratto, ma una descrizione di una modalità grazie alla quale gli esseri umani possono organizzarsi.
Ward ci dice che l’organizzazione anarchica già esiste nella nostra società, grazie alla tendenza umana a raggrupparsi per il comune beneficio. …
Quando si pensa all’anarchia si pensa automaticamente al caos, tanto che, al di fuori della teoria politica, il termine indica una situazione di scompiglio dove tuttə fanno quello che lə pare senza badare a regole o limiti. Ha preso dunque un’accezione piuttosto negativa perché nell’anarchia generale verrebbero meno anche quelle regole del vivere civile che ci permettono di stare nella società con relativa tranquillità.
Una sorte davvero singolare per un termine che, da etimologia, significa semplicemente “assenza di potere” e per una realtà che vede molte brutture del mondo scatenarsi proprio per lotte di potere. Colin Ward quindi si propone di riportare la nostra attenzione sul fatto che l’anarchia non è tanto un ideale astratto, ma una descrizione di una modalità grazie alla quale gli esseri umani possono organizzarsi.
Ward ci dice che l’organizzazione anarchica già esiste nella nostra società, grazie alla tendenza umana a raggrupparsi per il comune beneficio. Quindi ci mostra degli esempi concreti in vari ambiti di organizzazione anarchica – nell’urbanistica (che conosceva bene, in quanto architetto), nell’istruzione, nel lavoro, nella famiglia… – e senza svicolare dagli ambiti che generano più scetticismo, come la gestione dei crimini e dei comportamenti antisociali.
Certo, realizzare una società anarchica è estremamente improbabile: non tanto per l’impossibilità di mettere in pratica l’anarchia, quanto piuttosto per i requisiti che questo richiederebbe. Anzi, Ward riflette sul fatto che forse non sarebbe nemmeno auspicabile. Ma tra accettare passivamente lo status quo e cercare di allargare gli spazi di autonomia sta tutta la differenza del mondo.
Proprio nella fase in cui «le tendenze irresistibili della società moderna» sembrano condurci inevitabilmente a una società massificata di schiavi dei consumi, quei movimenti sono sorti a rammentarci una verità fondamentale, e cioè che è veramente irresistibile solo ciò a cui non si oppone resistenza. Ma naturalmente una serie di vittorie parziali e incomplete, di concessioni strappate ai detentori del potere, non è di per se stessa capace di farci approdare all’isola felice di una società anarchica. Piuttosto esse serviranno ad arricchire i contenuti dell’iniziativa di base, e contribuiranno a tradurre in realtà le potenzialità di una vita più libera che già esistono in questa società. È vero, d’altra parte, che per un attacco frontale alle strutture del potere sarebbe necessario un tale livello di compromissione delle idee anarchiche, sarebbe indispensabile scegliere compagni di viaggio così autoritari, che agli appelli all’unità rivoluzionaria sarà bene rispondere: «Nel cappio di chi mi invitate a infilare la testa, questa volta?».
Non è una lettura facile, ma non è nemmeno nulla di tragico. Questo libro mi ha fatto realizzare quanto poco sapessi realmente del pensiero anarchico. Anarchia viene spesso usata come sinonimo di caos e disordine, quando in realtà è l'opposto. Non lo consiglierei come punto di partenza, però.