cretinodicrescenzago ha recensito Né di Eva né di Adamo di Amélie Nothomb
La pietra miliare della mia educazione senimentale
5 stelle
Al pari del suo gemello Stupore e tremori, pure Né di Eva né di Adamo fu una lettura giovanile del 5 giugno 18 e lo commentai laconicamente come segue:
"Né di Eva né di Adamo" ha una prosa meno limpida di "Stupore e tremori", con un po' meno umorismo e un po' più virtuosismo per il gusto di farlo; non di meno è sempre l'autobiografia sarcastica di Amélie, e stavolta il suo trattare di amore non solo rilassa, ma persino commuove: il finale non è semplicemente virtuosistico, ti mette il nodo alla gola nel senso migliore. Consigliatissimo.
E anche in questo caso, riprenderlo in mano a distanza di quattro anni e tanta vita è stato illuminante e catartico. Perché se Stupore e tremori è un memoriale di violenza intersezionale, Né di Eva né di Adamo è un romanzo di formazione nel senso più squisito e genuino del termine. È …
Al pari del suo gemello Stupore e tremori, pure Né di Eva né di Adamo fu una lettura giovanile del 5 giugno 18 e lo commentai laconicamente come segue:
"Né di Eva né di Adamo" ha una prosa meno limpida di "Stupore e tremori", con un po' meno umorismo e un po' più virtuosismo per il gusto di farlo; non di meno è sempre l'autobiografia sarcastica di Amélie, e stavolta il suo trattare di amore non solo rilassa, ma persino commuove: il finale non è semplicemente virtuosistico, ti mette il nodo alla gola nel senso migliore. Consigliatissimo.
E anche in questo caso, riprenderlo in mano a distanza di quattro anni e tanta vita è stato illuminante e catartico. Perché se Stupore e tremori è un memoriale di violenza intersezionale, Né di Eva né di Adamo è un romanzo di formazione nel senso più squisito e genuino del termine. È la storia di una Amélie Nothomb poco più che ventenne che si (ri-)trapianta nel mitizzato Giappone e vive la sua prima, significativa relazione con l'autoctono pressoché coetaneo Rinri. È un'educazione sentimentale in cui noi del pubblico occidentale apprendiamo (o riscopriamo?) il concetto sociale-relazionale del koi:
Koi in francese classico si può tradurre con “diletto”. Mi procurava diletto. Lui era il mio koibito, colui con il quale condividevo il koi: provavo diletto in sua compagnia. [...] Il koi mi affascinava, al contrario, per la sua leggerezza, la sua fluidità, la sua freschezza e la sua assenza di serietà. Il koi era elegante, ludico, divertente, civile. Uno dei pregi del koi consisteva nella sua parodia dell’amore: ne riprendeva certi atteggiamenti più per allegra goliardia che non per denunciare qualcosa.
Una scoperta potente, perché finché non si dà nome alle cose quelle non esistono, e scoprire che una prassi relazionale esiste permette di comprenderla e implementarla nella propria etica.
Ma questa storia di formazione è anche una satira schierata dalla parte del buon Rinri, in cui Nothomb denuda con la sua brutalità caratteristica il ventre molle dello Yamato, tanto lontano ma anche pericolosamente vicino al nostro, di ventre molle (perché l'homo sapiens è sempre homo sapiens):
Nei paesi in cui le persone devono comportarsi bene tutta la vita, capita spesso che sclerino alla soglia della vecchiaia e si abbandonino ai comportamenti più assurdi, ma questo non toglie che le famiglie si occupino di loro, in conformità alla tradizione. [...] Rinri se la sarebbe cavata perché era figlio di suo padre: significava compensare un dolore con una vergogna. Ma gli altri, che fallivano ai test, sapevano fin dalla più tenera età che sarebbero diventati, nella migliore delle ipotesi, carne da azienda, come c’era stata carne da cannoni. E poi ci si meraviglia che tanti adolescenti giapponesi si suicidino.
E in questo ritratto antropologico impietoso non manca nemmeno l'autoironia sincretica un po' narcisista che io tanto amo e della quale mi considero umilissimo allievo della Nostra:
Era una versione belga dell’Ultima Cena, dove un Cristo del paese piatto brandiva un calice, colmo non di vino ma di birra, e diceva: questo è il mio sangue, la birra bianca della nuova ed eterna Alleanza, versata per voi e per tutti in remissione dei peccati, fate questo in memoria del mio sacrificio, perché mentre voi vi ingozzate di capesante, c’è gente che sgobba, e quanto al tredicesimo, che si nasconde dietro i suoi fornelli e che non osa neanche venire a darmi il bacio di Giuda, dopo gliela faccio vedere io.
L'esito di questa alchimia è un racconto per certi versi tragico, una storia di incomunicabilità, di retroterra culturali sfalsati, di immaturità e dispetti (per usare un eufemismo) – ma anche una storia di crescita in cui la spensieratezza lascia il posto a una scorza più dura, e che ci ricorda che
Ho ventitré anni e non ho ancora trovato nulla di quello che cercavo. È per questo che la vita mi piace. È un bene, a ventitré anni, non aver ancora scoperto la propria strada.
Grazie madame Nothomb. Perché per un tardo millenial-proto Gen Z che ha dovuto premere l'acceleratore a tavoletta per mille motivi, è bene ricordarsi di prendersela con calma, di concedere del koi a sé e a chi incrocia la nostra via.