La giornata d'uno scrutatore

Amerigo Ormea, comunista, è stato designato dal suo partito come scrutatore in un seggio elettorale torinese nelle elezioni del 1953. Il partito di maggioranza (il suo avversario) mobilita a proprio favore anche gli invalidi, gli idioti, i morenti. Il seggio di Ormes pesua all'interno del Cottolengo. La giornata la dentro: la misera delle natura divenuta strumento di una operazione politica, la fila dei minorati condotti al voto; i dormitori, dove si raccolgono i voti dei degenti, tra grida, risate, latrati, apparizioni d'ibridi raccapriccianti; Ormea guarda, riflette. I fatti sono questi, o pochi di più Dunque un romanzo con l'impostazione di un saggio. Ma qui Calvino ha fatto molti passi più in là sulla via della piena fusione fra romanzo e saggio. Lo scrutatore Ormea certo somiglia molto al protagonista amletico della Speculazione edilizia. Propriamente è un comunista deluso anzi ci crede, vuole crederci, è fedele alle proprie idee ma anche il suo pensiero galleggia tra diverse correnti, trova ogni tanto un gorgo che lo succhia a profondità diversa, in bilico tra due attrazioni della sua cultura: il rivoluzionario intransigente, il liberale olimpico. Anche lui ingarbugliato, non trovando una piena persuasione nel fare, si butta al pensare, al riflettere, ragione dalla parte dell'avversario. Poche e ancora certe le verità essenziali e non provvisorie; il cervello é un ago magnetico entrato in una zona di perturbazione. In questo caso, il Cotlengo se ne fa centro. I personaggi che vi nuotano detto (i malati dalle forme d'incubo, le suore, il prete, ecc.) sono splendidamente ritratti, di passaggio, vorrei notare le pagine molto belle sulle fotografie delle tessere di riconoscimento in rapporto con le persone. Si potrebbe partire dalla domanda si ha diritto di usare come uno strumento passivo, a scopo elettorale, esseri non pensanti? La prima risposta, immediata e politica, è no. Sotto la risposta politica si aprono però subito quei risucchi di cui ha parlato. A che punto si è uomini, a che punto si cessa d'esserlo? Fine a dove si estende la miseria della natura non ancora diventata umana, dove si colloca la linea divisoria tra la natura e la storia, l'industria umane? Da quale punto si può dire questa miseria adesso non è più nostra, non ha il diritto di contribuite a decidere? E fin dove si scenderebbe se, di là del sociale, ci si calasse nelle plaghe segrete dell'individuale, per esempio di questo padre in visita e di questo figlio idiota, necessari l'uno all'altro, che mangiano in silenzio guardandosi per ore in faccia. L'interrogatorio si svolge lucido, non concluso e non concluso perché lucido, Calvino, in questo suo libro, non è più lo scrittore d'una sua personale, psicologica incertema critica. Piuttosto è lo scrittore dell'oggettività di quell'incertezza, in una realtà nella quale si stenta non solo a trovare, ma a cercare le essenze.