Baylee ha recensito P. La mia adolescenza trans di Fumettibrutti
P. La mia adolescenza trans
5 stelle
La mia lettura di questa graphic novel è andata un po’ come quando incontri per la prima volta una persona che per te diventerà importante: ti sembra una persona incredibilmente antipatica e non vedi l’ora di scrollartela di dosso, ma poi finite per diventare pappa e ciccia.
Inutile girarci troppo intorno, questi fumetti brutti mi hanno messa a dura prova: sono così brutti che all’inizio ha proprio fatto fatica a capire cosa stesse succedendo e pure a leggere il testo perché Signorelli (alias Fumettibrutti) fa le e come io faccio le t in stampatello minuscolo, riuscendo a confondermi pure se dovrebbe essere abbastanza elementare non confondere una vocale con una consonante. Sono una ragazza lenta, che vi devo dire.
Comunque, una volta che mi sono abituata a questo ambiente artistico, ho potuto guardarmi bene intorno e rendermi conto che P. La mia adolescenza trans è incredibilmente denso: più penso a …
La mia lettura di questa graphic novel è andata un po’ come quando incontri per la prima volta una persona che per te diventerà importante: ti sembra una persona incredibilmente antipatica e non vedi l’ora di scrollartela di dosso, ma poi finite per diventare pappa e ciccia.
Inutile girarci troppo intorno, questi fumetti brutti mi hanno messa a dura prova: sono così brutti che all’inizio ha proprio fatto fatica a capire cosa stesse succedendo e pure a leggere il testo perché Signorelli (alias Fumettibrutti) fa le e come io faccio le t in stampatello minuscolo, riuscendo a confondermi pure se dovrebbe essere abbastanza elementare non confondere una vocale con una consonante. Sono una ragazza lenta, che vi devo dire.
Comunque, una volta che mi sono abituata a questo ambiente artistico, ho potuto guardarmi bene intorno e rendermi conto che P. La mia adolescenza trans è incredibilmente denso: più penso a questa graphic novel e più mi dà da pensare. Per esempio, oltre alla scelta stilistica di un disegno brutto, abbiamo anche una scelta cromatica brutta. L’intera storia, infatti, è colorata con due soli colori, o il giallo o il viola, che vengono usati per rappresentare momenti diversi nella vita della protagonista: essendo due colori complementari, non andrebbero accostati per non creare un effetto sgradevole. Inoltre, si potrebbero definire due colori neutri, perché non assegnati a nessun genere in particolare, il che va a sottolineare poi il messaggio finale del libro.
Se già lo stile in sé mi ha dato da pensare, il contenuto non è da meno. Dal titolo è evidente che si parlerà di identità di genere e transizione e la prima cosa che mi ha colpito è stata la descrizione della nostra cattiveria casuale e il nostro essere incredibilmente concentratз su noi stessз. Siamo così abituatз al nostro punto di vista, a cercare la nostra realizzazione personale, a capire qual è la nostra strada che le altre persone diventano solo un mezzo per raggiungerla, una cosa da usare per fare un tentativo e vedere se funziona. E se non funziona? Pazienza. Che importano le conseguenze delle nostre azioni? Non era la nostra strada, si va avanti.
E quando transfobia e sessismo si uniscono alla festa, abbiamo la scusa perfetta per giustificare quella noncuranza: avere a che fare con qualcunǝ che già consideriamo inferiore ci regala la scusa perfetta per non curarci anche del suo benessere. Francamente, vedere la vastità dell’ignoranza che ancora accompagna così tanti percorsi di transizione mi fa venire voglia di urlare di togliersi la testa dal culo e smettere di piagnucolare di politicamente corretto e di valori tradizionali: se questi valori vi impediscono di solidarizzare con persone diverse da voi al punto da finire per disumanizzarle, be’, non c’è tradizione, santo o divinità che tenga. Quante prove storiche ed empiriche ci servono per capire che va sempre a finire male?