Baylee ha recensito A oriente del giardino dell'Eden di Israel J. Singer
A oriente del giardino dell'Eden
4 stelle
Puoi trovare questa recensione anche sul mio blog ---> La siepe di more
Se siete di quei tipi che, con la calura estiva e le ferie, non si avvicinano manco morti a romanzi cupi e richiedenti un minimo di stato di veglia, state alla larga da A oriente del giardino dell'Eden. Ma annotatevelo da qualche parte per poterlo riprendere quando gli strali del caldo saranno cessati.
Sono, infatti, molto sorpresa dal constatare che questo romanzo ha avuto pochissimi lettori finora, almeno su Goodreads. È vero che Israel è stato messo in ombra dal fratellino premio Nobel, ma ultimamente ho visto furoreggiare La famiglia Karnowski e I fratelli Ashkenazi, quindi lo facevo un autore più letto.
Anche perché merita, ragazzi. Merita davvero. Singer è uno di quegli autori capaci di descrivere la condizione degli ultimi, senza moralismi o pietismi a inquinarne la resa. A oriente del giardino dell'Eden è un romanzo di aspettative deluse e amara rassegnazione, di lotte per innalzare la propria misera condizione e straziante disillusione. Fino ad arrivare al finale, segnato da un'immagine così dolorosa, ma al tempo stesso così potente da essermi rimasta in testa, tatuata a fuoco.
Ma, in generale, A oriente del giardino dell'Eden è un romanzo che ti rimane addosso, che non può lasciarti libero: è come se vi fosse racchiuso il grido di dolore di tutti gli oppressi del mondo. Di tutti coloro che vengono sfruttati e tenuti comodamente nell'ignoranza per poter essere sfiancati a piacimento.
In particolare, sono rimasta colpita dalla seconda metà del romanzo, incentrata sul fascino malsano suscitato nelle menti “eccitabili” dall'URSS. Ho trovato terribilmente attuale l'idea che si possa creare uno stato perfetto e che qualcuno possa addirittura avere come massima aspirazione quella di andarci a stare.
Io sono, invece, convinta che essere umano e perfezione non possano andare d'accordo (almeno a questo punto della nostra storia). La perfezione implica staticità, impossibilità di cambiare se stessi e il proprio destino; impossibilità di peggiorare, certo, ma anche impossibilità di migliorare. Chi mai potrebbe volere una simile condizione per se stesso e i proprio simili?
Lasciamo la perfezione ai moscerini della frutta e teniamoci stretta la nostra terribile e gloriosa imperfezione.