cretinodicrescenzago ha recensito Companions on the Road di Tanith Lee
"Le più belle novelle di nonna Tanith"
4 stelle
Data la mia proverbiale mancanza di autocontrollo, come dose annuale di Tanith Lee non mi è bastata la raccolta di racconti Redder Than Blood – no, siccome sono un ingordo ho pure letto i due romanzi brevi riuniti in questo volume doppio Companions on the Road & The Winter Players (però mi sono imposto uno iato fra i due romanzi, yeeeh), ed è stata un'esperienza sopraffino, degna del capolavoro giovanile di madama Lee The Birthgrave. Andando nello specifico, i due testi sono reciprocamente autoconclusivi, ma condividono le stesse tematiche di fondo e la stessa estetica generale, e secondo me tengono botta egregiamente:
- Companions on the Road è sostanzialmente una pièce di orrore gotico che, nella mia ignoranza, sapeva in qualche modo di Edgar Allan Poe: è la storia di due disertori e un ladro che profanano un sacrario in rovina, si appropriano di un calice sacro (o sacrilego?) e vengono dunque perseguitati da tre spettri maligni e irrequieti, dando adito a una fuga rocambolesca che alterna visioni disturbanti e ancor più terribili corse a perdifiato per sfuggire alle tenebre e raggiungere per tempo una vana speranza di sicurezza, lasciandoci addosso l'odore di paranoia e il soffocamento dell'angoscia. L'intreccio da racconto di fantasmi non è nulla di eccessivamente sovversivo e mi ha un po' deluso che uno dei tre protagonisti, Kachil il ladro, fosse sensibilmente meno elaborato dei sui compari Havor e Feluce, ma in compenso sono rimasto stregato dalle descrizioni di paesaggi così sontuose e pittoriche, praticamente già pronte per essere adattate in un videogioco della FromSoftware – e ultimo ma non ultimo, la dimensione misticheggiante del finale è stata assai catartica.
- The Winter Players, non ho remore a dirlo, è un capolavoro. C'è un primo atto sulla vita quotidiana lenta, rituale e ricca di domesticità di una giovane sacerdotessa, interrotta di botto dal furto di una reliquia a opera di un forestiero tenebroso; c'è un viaggio alla ricerca del ladro attraverso paesaggi (anche qui) sontuosamente pittoreschi, non privo di scene "tecniche" ma senza cadere nel tecnicismo del trekking (sì sto guardando voi, Fritz Leiber e Frank Herbert); c'è un momento della verità ricco di pathos e di tensione, che culmina in uno dei finali più commoventi di cui abbia memoria negli ultimi tempi – perché porco Giuda, commuoversi è un diritto e fanculo ai finali deprimenti, che sono altra cosa! La sensazione generale è un intreccio fra la struttura narrativa di The Birthgrave, i toni e i temi di The Tombs of Atuan (ovverosia uno dei miei romanzi favoriti) e un tocco di ottimismo che non guasta mai, come insegna la teoria del prof. Tolkien. Raramente ho trovato una miscela così inebriante e delicata.
Che dire, volume doppio altamente consigliato come primo approccio a madama Lee.