cretinodicrescenzago ha recensito Judgment Night di C.L. Moore
Fantascienza classica, con tutti i limiti e i pregi del caso
3 stelle
Avviso sul contenuto Commenti espliciti ai finali a sorpresa di due racconti su cinque
[Vecchia recensione esportata da altro sito]
Dopo aver letto un po' di opere individuali di Henry Kuttner e un po' di collaborazioni con sua moglie Catherine L. Moore, era giunta l'ora di leggere qualcosa della sola Catherine, e siccome sono ancora in vena di sci-fi mi sono buttato su questo Judgment Night: A Selection of Science Fiction – ovverosia una raccolta di cinque romanzi brevi/racconti lunghi scelti da Moore stessa come suoi pezzi forti. Non male, ma mi aspettavo di meglio:
- Judgment Night: è il romanzo eponimo e più "ciccio" dei cinque, e per paradosso trovo sia il testo invecchiato peggio. In scena abbiamo la classica situazione da space opera di un antico impero galattico insidiato da una feroce ribellione e qua e là ci sono delle canoniche scene di consiglio di guerra e progettazione di armamenti (con tecnofarfuglio a iosa), ma il grosso dell'azione segue la principessa dell'impero galattico e il comandante ribelle che giocano al gatto e al topo in ambienti esotici lontani dal cuore della battaglia, fra cui un satellite artificiale di delizie olografiche (sì, è realtà virtuale immaginata nel 1943!), templi nella foresta e antiche catacombe, il tutto raccontato con dovizia di monologhi interiori dal punto di vista della principessa guerriera. Indubbiamente la combinazione di eroina proattiva, tensione erotica neanche tanto latente fra eroina e antagonista, e abbondante introspezione doveva essere altamente avveniristica per l'epoca – però ho trovato le elucubrazioni della principessa un po' troppo contorte, la tensione erotica un po' troppo grezza per reggere il confronto con le mille esecuzioni moderne del tema, le descrizioni di ambienti ed azioni fin troppo minute, e in generale la trama di inseguimento reciproco fin troppo esile, quasi pretestuosa per giustificare il "giro turistico" fra i vari paesaggi surreali (obiettivamente interessanti); sicuramente queste storie di "panorami anziché azioni" avranno il loro seguito, ma con me sinceramente attaccano poco. Ciò detto, è una tragedia che Moore non sia mai tornata su quest'ambientazione per approfondire i lemuri senzienti dalla mente alveare che subentrano all'umanità dopo l'auto-genocidio della guerra galattica.
- Paradise Street: è praticamente l'opposto di Judgment Night, e cioè una vicenda con personaggi semplici ma trama solidissima e, anche per questo, più nelle mie corde. Siamo in una situazione space western senza arte né parte, in cui gli insediamenti umani su altri pianeti funzionano esattamente come la colonizzazione del Selvaggio Ovest statunitense, fra emporio/drogheria, sceriffo impotente, case da gioco e posse di contadini infuriati – ma l'ambientazione ha una corposità notevole, i personaggi sono piacevoli dal protagonista trapper al contrabbandiere venusiano, gli slanci lirici di scenari agresti e meditazioni sulla vecchiaia sono dolcissimi – persino nel finale un po' melodrammatico.
- "Promised Land": potrebbe essere in assoluto il mio testo preferito, perché chiama in causa ed esegue a menadito tanti temi che adoro: colonizzazione spaziale in ottica di fantascienza dura con procedure di terraformazione dei pianeti e selezione eugenetica di coloni mutanti, politicheggiamenti e astio familiare, psicologia spicciola, il tutto con un ritmo sempre sostenuto. E sì, lo ammetto, mi piace anche perché ci sono troppe somiglianze con Dune perché siano casuali.
- "The Code": un piacevole pezzo quasi-horror sul tema "esperimento che inizia bene e continua peggio", molto carina l'idea di rileggere il mito del dottor Faust in ottica science fantasy, apprezzabile l'alternanza di voce narrante puramente descrittiva e dialoghi tecnofarfuglianti fra i personaggi – un poco contorto il finale, ma era fisiologico se si chiama in causa il viaggio nel tempo. Comunque c'è catarsi, e questo è l'importante.
- "Heir Apparent": probabilmente il testo che mi ha convinto meno. Si svolge nella stessa ambientazione di "Promised Land", tiene in conto la trama di quest'ultimo per costruire un'ambientazione più vasta – e spreca tutto ciò in una vicenda dozzinale di spionaggio e stalli messicani fra personaggi banalissimi il cui unico tratto caratteriale è il più elementare egocentrismo. Unico lato positivo la scena madre finale, che riprende temi di transumanismo elaborati assai meglio nel romanzo The Time Axis (forse è vero che nella coppia Moore metteva il sentimentalismo e Kuttner la pianificazione).
In conclusione, con 3 testi su 5 piacevoli (anche se non memorabili) e 1 datato ma obiettivamente avanti sui suoi tempi, mi ritengo abbastanza soddisfatto dall'antologia – nonché abbastanza propenso a recuperare l'altra raccolta di racconti della buona Catherine, The Best of C.L. Moore.