Baylee ha recensito I sommersi e i salvati di Primo Levi
I sommersi e i salvati
5 stelle
Puoi trovare questa recensione anche sul mio blog, La siepe di more
<blockquote><i>Il privilegio, per definizione, difende e protegge il privilegio. […] Dove esiste un potere esercitato da pochi, o da uno solo, contro i molti, il privilegio nasce e prolifera, anche contro il volere del potere stesso; ma è normale che il potere, invece, lo tolleri o lo incoraggi.</i></blockquote>
La mia ammirazione per la capacità di Primo Levi di mettere nero su bianco la sua esperienza concentrazionaria e di ragionarci sopra in modo che la sua testimonianza non sia solo un racconto autobiografico, ma anche un vademecum per combattere il virus del Lager è oltremodo aumentata dopo la lettura de I sommersi e i salvati.
<blockquote><i>In secondo luogo, ed a contrasto con una certa stilizzazione agiografica e retorica, quanto più è dura l’oppressione, tanto più è diffusa tra gli oppressi la disponibilità a collaborare col potere. […] Prima …
Puoi trovare questa recensione anche sul mio blog, La siepe di more
<blockquote><i>Il privilegio, per definizione, difende e protegge il privilegio. […] Dove esiste un potere esercitato da pochi, o da uno solo, contro i molti, il privilegio nasce e prolifera, anche contro il volere del potere stesso; ma è normale che il potere, invece, lo tolleri o lo incoraggi.</i></blockquote>
La mia ammirazione per la capacità di Primo Levi di mettere nero su bianco la sua esperienza concentrazionaria e di ragionarci sopra in modo che la sua testimonianza non sia solo un racconto autobiografico, ma anche un vademecum per combattere il virus del Lager è oltremodo aumentata dopo la lettura de I sommersi e i salvati.
<blockquote><i>In secondo luogo, ed a contrasto con una certa stilizzazione agiografica e retorica, quanto più è dura l’oppressione, tanto più è diffusa tra gli oppressi la disponibilità a collaborare col potere. […] Prima di discutere partitamente i motivi che hanno spinto alcuni prigionieri a collaborare in varia misura con l’autorità dei Lager, occorre però affermare con forza che davanti a casi umani come questi è imprudente precipitarsi ad emettere un giudizio morale. Deve essere chiaro che la massima colpa pesa sul sistema, sulla struttura stessa dello Stato totalitario; il concorso alla colpa da parte dei singoli collaboratori grandi e piccoli (mai simpatici, mai trasparenti!) è sempre difficile da valutare.</i></blockquote>
Ancora una volta resto in silenzio davanti alla sua lucidità: la riflessione di Levi è sempre priva di odio, sempre consapevole e puntuale e mai consolatoria. In questo libro – il suo ultimo libro sulla sua esperienza ad Auschwitz – Levi si addentra nei luoghi più oscuri proprio in virtù della straordinaria luce del suo pensiero.
<blockquote><i>Non mi intendo di inconscio e di profondo, ma so che pochi se ne intendono, e che questi pochi sono più cauti; non so, e mi interessa poco sapere, se nel mio profondo si annidi un assassino, ma so che vittima incolpevole sono stato ed assassino no; so che gli assassini sono esistiti, non solo in Germania, e ancora esistono, a riposo o in servizio, e che confonderli con le loro vittime è una malattia morale o un vezzo estetistico o un sinistro segnale di complicità; soprattutto, è un prezioso servigio reso (volutamente o no) ai negatori della verità.</i></blockquote>
Penso che la sua consapevolezza che il Lager e i suoi preamboli non fossero finiti per sempre con la Seconda Guerra Mondiale – Levi cita spesso la Cambogia e i massacri compiuti da Israele ai danni della popolazione palestinese – gli abbia permesso di leggere la sua esperienza concentrazionaria senza i filtri che avrebbero reso quegli anni “solo” un buco nero nella sua vita e nella storia.
<blockquote><i>I «salvati» del Lager non erano i migliori, i predestinati al bene, i latori di un messaggio: quanto io avevo visto e vissuto dimostrava l’esatto contrario. Sopravvivevano di preferenza i peggiori, gli egoisti, i violenti, gli insensibili, i collaboratori della « zona grigia», le spie. Non era una regola certa (non c’erano, né ci sono nelle cose umane, regole certe), ma era pure una regola. Mi sentivo sì innocente, ma intruppato fra i salvati, e perciò alla ricerca permanente di una giustificazione, davanti agli occhi miei e degli altri. Sopravvivevano i peggiori, cioè i più adatti; i migliori sono morti tutti. […] L’amico religioso mi aveva detto che ero sopravvissuto affinché portassi testimonianza. L’ho fatto, meglio che ho potuto, e non avrei potuto non farlo; e ancora lo faccio, ogni volta che se ne presenta l’occasione; ma il pensiero che questo mio testimoniare abbia potuto fruttarmi da solo il privilegio di sopravvivere, e di vivere per molti anni senza grossi problemi, mi inquieta, perché non vedo proporzione fra il privilegio e il risultato. Lo ripeto, non siamo noi, i superstiti, i testimoni veri. È questa una nozione scomoda, di cui ho preso coscienza a poco a poco, leggendo le memorie altrui, e rileggendo le mie a distanza di anni. Noi sopravvissuti siamo una minoranza anomala oltre che esigua: siamo quelli che, per loro prevaricazione o abilità o fortuna, non hanno toccato il fondo. Chi lo ha fatto, chi ha visto la Gorgone, non è tornato per raccontare, o è tornato muto; ma sono loro, i «mussulmani», i sommersi, i testimoni integrali, coloro la cui deposizione avrebbe avuto significato generale. Loro sono la regola, noi l’eccezione.</i></blockquote>
Levi non indora mai la pillola, per nessunǝ: se siete indecisз su quale libro sulla Shoah leggere e non lo avete ancora fatto, leggete la Trilogia di Auschwitz.