cretinodicrescenzago ha recensito The Gods of the Celts di Miranda Aldhouse-Green
Fattuale, dettagliato, magicamente applicabile
3 stelle
Quando un neopagano vuole espandere il proprio repertorio con il paradigma religioso celtico, emerge un piccolo problema: la documentazione scritta è prettamente mitologica più che filosofica, stilata da redattori già cristianizzati, e proveniente da zone periferiche quali Irlanda e Galles, mentre i contenuti e le pratiche in uso nell'epoca classica fra i Galli continentali sono andati irrimediabilmente perduti nella Tarda Antichità. Di conseguenza, il neo-druido deve fare affidamento sugli studi archeologici sui manufatti sacri dei Celti continentali (e della Britannia romanizzata), e questo volumino della dottoressa Aldhouse Green è un valido compromesso fra accuratezza e accessibilità. Non si può negare che rappresenti una lettura arida, essendo che giustamente la dottoressa Green procede con metodo rigido e ripetitivo: ci presenta i reperti materiali a nostra disposizione (icone, offerte votive, installazioni sacre, depositi sacrificali eccetera) nel loro contesto di ritrovamento, ne descrive le caratteristiche di produzione e iconografia, ed estrapola da questa …
Quando un neopagano vuole espandere il proprio repertorio con il paradigma religioso celtico, emerge un piccolo problema: la documentazione scritta è prettamente mitologica più che filosofica, stilata da redattori già cristianizzati, e proveniente da zone periferiche quali Irlanda e Galles, mentre i contenuti e le pratiche in uso nell'epoca classica fra i Galli continentali sono andati irrimediabilmente perduti nella Tarda Antichità. Di conseguenza, il neo-druido deve fare affidamento sugli studi archeologici sui manufatti sacri dei Celti continentali (e della Britannia romanizzata), e questo volumino della dottoressa Aldhouse Green è un valido compromesso fra accuratezza e accessibilità. Non si può negare che rappresenti una lettura arida, essendo che giustamente la dottoressa Green procede con metodo rigido e ripetitivo: ci presenta i reperti materiali a nostra disposizione (icone, offerte votive, installazioni sacre, depositi sacrificali eccetera) nel loro contesto di ritrovamento, ne descrive le caratteristiche di produzione e iconografia, ed estrapola da questa massa di dati le proprie ipotesi sulla funzione simbolica e l'utilizzo rituale dei manufatti, risultando in un ritmo scandito quanto ripetitivo (fate pause fra ogni capitolo, mi raccomando). Questa inevitabile monotonia, però, è il giusto pedaggio da pagare per accedere a una trattazione saldamente empirica e rigorosamente fattuale, nella quale le ricostruzioni sulla ritualità celtica sono assolutamente pragmatiche (senza voli pindarici romantici) e ben radicate nel materiale sopravvissuto: l'autrice, infatti, categorizza per soggetto i repertori iconografici celtici e pertanto analizza in successione le raffigurazioni celesti, femminili, belliche e ctonie, idriche-taumaturgiche, zoomorfe-totemiche, e chiude con gli schemi figurativi tipizzati, corredando sempre, laddove possibile, l'opera scultorea con attestazioni iconografiche. In tal modo l'esposizione estrapola da ogni tipologia artistica gli attributi propri del corrispondente archetipo divino e (se ricavabili) le usanze cultuali correlate, restituendoci il quadro convincente di una teologia pan-celtica ove i princìpi sovrannaturali "generali" si ipostatizzano in divinità non necessariamente antropomorfizzate e comunque iconograficamente fluide (a maggior ragione dopo il sincretismo culturale con il pantheon romano), enorme enfasi è posta sugli spiriti topografici e sugli animali fatati, e le cerimonie sacrificali enfatizzano sia l'omicidio rituale sia la consacrazione di oggetti pregiati. Dal mio punto di vista di teurgo, qua dentro c'è quasi tutto il necessario per "riconfigurare" le tecniche greche tradizionali e venerare le deità galliche: non sarà mai come riprodurre le pratiche perdute dei veri druidi, ma è un compromesso sufficiente.