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The horror stories of Robert E. Howard (2008) 5 stelle

Review of 'The horror stories of Robert E. Howard' on 'Goodreads'

5 stelle

Dopo almeno un paio di false partenze nell'arco di almeno cinque anni, finalmente ho letto nella sua interezza The Horror Stores of Robert E. Howard, un autentico monumento di carta e inchiostro al "Bardo di Cross-Plains" – e parlo di "monumento" a ragion veduta, perché se è vero che Bob Due-Pistole quando scriveva male scriveva malissimo, qui dentro c'è la crema di crema della sua prosa; e che prosa, gente!

Partiamo dai contenuti: la raccolta è dannatamente e lodevolmente varia. Ci sono i piccoli cicli giovanili sul licantropo De Montour e sul villaggio portuale di Faring Town, il secondo dei quali, scritto da un ragazzotto del deserto, mi ha messo il freddo in corpo ben più dei racconti dello scrittore-marinaio [a:William Hope Hodgson|51422|William Hope Hodgson|https://images.gr-assets.com/authors/1246727581p2/51422.jpg]. C'è una pletora di testi del Mito di Chtulhu, per la gioia dei patiti che vogliono ricomporre il Necronomicon, incluso il ciclo degli occultisti Conrad & Kirowan e quello dei racconti di metempsicosi. Ci sono racconti di demoni e fantasmi per tutti i gusti, dall'agghiacciante vicenda di messe nere "Casonetto's Last Song" al quadretto tardo-antico "Delenda Est" fino alla spettacolare fantasia sumera "The House of Arabu". Ci sono avventure di Solomon Kane e Bran Mak Morn, che è stato bello ri-incontrare qualcosa come cinque anni dopo la mia immersione nei loro rispettivi cicli. Ci sono tanti (purtroppo non tutti) i racconti dell'orrore ambientati fra i deserti del Texas, le pinete dell'Arkansas e le paludi della Louisiana, opere fondative delle estetiche Southern Gothic e Weird Western. E ci sono poesie su poesie, bastevoli per una pubblicazione a parte in un canzoniere macabro. Insomma, questa raccolta è davvero un portagioie di perle nere uscite dalla mente di Howard, e già questa struttura ben ragionata è degno di lode.

Passiamo ora alla qualità di esecuzione: è alta. Sicuro, non tutti i testi brillano di originalità: alcuni sono alquanto lovecraftiani nel presentare un'indagine terrificante su un relitto rettile di ere arcaiche (sì l'allitterazione era voluta), altri iterano visibilmente su concetti ricorrenti fortemente howardiani, quali la rievocazione di memorie ataviche o l'esistenza di un "piccolo popolo sotterraneo" – ma comunque le ideee, gli intrecci e i toni sono complessivamente variegati, ben più di quanto si possa trovare nel corpus monocorde di Lovecraft o nell'effettivamente derivativo [b:The Book of Iod: Ten Cthulhu Stories|23127373|The Book of Iod Ten Cthulhu Stories|Henry Kuttner|https://i.gr-assets.com/images/S/compressed.photo.goodreads.com/books/1421423958l/23127373.SY75.jpg|322843] di [a:Henry Kuttner|70167|Henry Kuttner|https://images.gr-assets.com/authors/1226556412p2/70167.jpg]: è quantomai indicativo, per dirne una, che nella medesima raccolta convivano una storia di fantasmi relativamente tradizionale, fortemente sentimentale e al sapore d'Irlanda quale "Dermod's Bane", un racconto al limite del fantastique europeo ma odoroso di sangue e polvere nera quale "The Man on the Ground", e un giallo paranormale squisitamente inglese quale "The Haunter in the Ring". E, cosa più importante, tanti racconti fanno sul serio rabbrividire, commuovere e/o estasiarsi di sublime, con una menzione speciale a "Pigeons from Hell", che per quanto mi riguarda merita davvero la palma di capolavoro dell'horror statunitense del secolo scorso – quando un racconto del mistero mi prende io rileggo sempre il finale due volte per ricomporre i pezzi, e stavolta ho riletto tre volte il penultimo paragrafo perché volevo posticipare il più possibile l'ultimo.

In ultimo, due parole sui temi di Howard. Innaznitutto, sì, è vero: una quantità non indifferente di racconti chiama in causa stereotipi razzisti pesanti contro Nativi Americani, Asiatici e Afrodiscendenti, ed è praticamente impossibile simpatizzare per il protagonista bianco di "Black Canaan" nel momento in cui i suoi avversari sono afroamericani rivoltosi che mirano a creare un etnostato nero – tuttavia nessuno dei testi punta tutto sulla fantasia di potere WASP (anche qui, Howard batte Lovecraft) e ci sono sia personaggi non bianchi stereotipati ma positivi sia negativi ma complessi (cosa che purtroppo era comunque progressista per i tempi), ergo è possibile leggere questo corpus con occhio critico e apprezzarlo comunque. E parlando di occhio critico, di sicuro io ora voglio recuperare qualche testo storico o fanta-storico sulla resilienza di schiavi afrodiscendenti e nativi americani contro la violenza dei bianchi, per ascoltare e propagare la voce degli oppressi.
In secondo luogo, una nota personale: mi ha stranito moltissimo tornare sull'opera di Howard un lustro dopo aver ingurgitato a raffica i suoi grandi cicli fantasy (era circa il '15-'16) e rendermi conto che quell'uomo era diverso da come lo percepiva il me appena ventenne. A leggere questi racconti dell'orrore, è evidente che il vero Robert Howard non lo si trova nei racconti formulaici e scollacciati, a base di scimmie assassine e donne nude, che hanno segnato l'"età oscura" di Conan: lo si trova nei paesaggi notturni battuti dal vento, nelle leggende di maledizioni ancestrali e incubi raggelanti, nelle teorie storiografiche e antropologiche usate per dare sostanza ai miti d'autore, nella potenza distruttiva di una faida inconciliabile... nella commozione davanti a un perdono, nelle parole di saggezza trasmesse da un anziano, nel legame atavico fra un individuo e la sua terra, nella potenza di una spada o una pallottola che spappola la prole dell'inferno – nella fragilità di un eroe apparentemente granitico come Bran Mak Morn, che si mostra umano come noi davanti al mistero della gelida notte stellata. E questo senza tenere in conto le poesie, che dovrò rileggere attentamente per sviscerare tutti gli spunti autobiografici.

In conclusione, non esito a dare 5/5 pur trattandosi, a conti fatti, di una raccolta di racconti "d'evasione" che non ha alle spalle un'articolato progetto estetico di "narrazione mondo": il racconto mondo emerge spontaneamente dal mosaico dei testi, e il mondo in questione è la mente di Robert Howard con le sue paraonie e i suoi miti eroici. Invero, ora anche io rimpiango la grande epica del Sud americano che avrebbe potuto scrivere verso i quarant'anni, se solo avesse avuto a disposizione uno psicanalista per curarsi la depressione anziché suicidarsi a trent'anni...