Baylee ha recensito Di che cosa parliamo quando parliamo di libri di Tim Parks
Di che cosa parliamo quando parliamo di libri
4 stelle
Puoi trovare questa recensione anche sul mio blog, La siepe di more
Di cosa parliamo quando parliamo di libri è uno dei rari casi in cui il titolo inglese, Where I’m Reading From, è meno suggestivo di quello italiano, che cita una famosa raccolta di racconti di Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d'amore. Inoltre, anche Di cosa parliamo quando parliamo di libri è una raccolta: non di racconti, ma di brevi saggi sui libri e su tutto ciò che gravita loro intorno.
È vero che non tutti i piccoli saggi di Tim Parks son riusciti con il buco, ma io vi consiglio tantissimo di leggere questo libro: affronta una serie di questioni – che ci si pone spesso e alle quali si danno sempre un po’ le stesse risposte – proponendo un punto di vista diverso e uno spunto di riflessione niente affatto banale. Il saggio …
Puoi trovare questa recensione anche sul mio blog, La siepe di more
Di cosa parliamo quando parliamo di libri è uno dei rari casi in cui il titolo inglese, Where I’m Reading From, è meno suggestivo di quello italiano, che cita una famosa raccolta di racconti di Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d'amore. Inoltre, anche Di cosa parliamo quando parliamo di libri è una raccolta: non di racconti, ma di brevi saggi sui libri e su tutto ciò che gravita loro intorno.
È vero che non tutti i piccoli saggi di Tim Parks son riusciti con il buco, ma io vi consiglio tantissimo di leggere questo libro: affronta una serie di questioni – che ci si pone spesso e alle quali si danno sempre un po’ le stesse risposte – proponendo un punto di vista diverso e uno spunto di riflessione niente affatto banale. Il saggio dedicato al premio Nobel per la letteratura, per esempio, ha avuto una certa risonanza.
Il fatto è che Parks, oltre a essere un autore e traduttore, è anche un giornalista che scrive di libri: ha competenze tecniche che chi legge per piacere e poi butta giù due righe di opinioni in merito sul suo blog (come me) non ha e non è male dare una sbirciatina a fenomeni dei quali facciamo parte, spesso inconsapevolmente.
Certo, non c’è niente di male nell’apprezzare i celebratissimi Murakami o Franzen, ma nemmeno nell’avere una visione d’insieme di dove stia andando la letteratura e dove ci stia portando (perlomeno a noi lettrici e lettor*): per esempio, sono rimasta colpita dall’idea che uno scrittore appartenente a un Paese culturalmente lontano dal nostro debba sfrondare il suo libro di ogni caratteristica locale per poter sperare di avere un pubblico più vasto. Alcuni elementi, infatti, sarebbero comprensibili soltanto a chi ha un certo background (sociale, culturale, storico, e via dicendo) e questo renderebbe questi romanzi meno appetibili sul mercato internazionale. Di conseguenza, c’è da chiedersi se leggere letterature di altri Paesi in traduzione ci faccia davvero conoscere altre culture o sia solo un pretesto per rassicurarci…
Parks non dà una risposta alle questione che pone: l’idea di Di cosa parliamo quando parliamo di libri è più quella di aprire un dibattito e vedere quali soluzioni saltano fuori. Smettere di tradurre letteratura straniera perché tanto ci risulta incomprensibile? Non mi pare una via perseguibile. Si potrebbe inserire un’introduzione o qualcosa di simile dove si spiegano alcune peculiarità di una certa cultura che il pubblico al quale ci si rivolge altrimenti troverebbe oscure. Lieviterebbero i costi del libro? Non so.
L’unica certezza è che Di cosa parliamo quando parliamo di libri mette in moto le rotelle del cervello: il che è una buona cosa.